Scusami tanto Albertone...è vero che sono Pierino la peste...ma pur sempre un bambino...Mi vuoi spiegare per favore che KAiser significa il richiamo alla casa editrice Arianna...vuoi forse insinuare che l'amico Jerri abbia attinto il suo monumentale...omissis... da un pubblicazione ad hoc??? E attuando poi una specie di copia-incolla???
Vuoi cifre dei suini e dei prezzi della carne da macello e prezzi dei foraggi e del grano. Di seguito trovi un pò di tutto ed è un articolo senz'altro di un economista che io come ben tu sai non sono.
Riguardo al mio post precedente ho cercato di spiegare, attingendo dalla casa editrice famosa, alla quale non gliene frega un bel niente, di quello che ho fatto, anzi è una pubblicità in più, per i libri che vende, la non convenienza dell'entrata della nostra lira nell'eurozona e con dati certi, attendibili, non campati per aria. Perchè nessuno di noi aveva risposto ai tuoi interrogativi? Evidentemente in questo forum non c'è nessun economista o non è voluto entrare nel merito del topic.
In pratica da quello che ho postato, cosa si evince? che siamo stati penalizzati nel rapporto euro - lira. I salari (medi chiaramente) degli operai e gli stipendi degli impiegati sono rimasti invariati come pure le pensioni. Salario: 2 milioni e duecento lire -> 1.100 €. Stipendio: 3 milioni e mezzo -> 1.750 €. Pensione 1 milione e ottocento lire -> 900 €. Mentre 1 Kg di frutta che costava 1000 lire con l'euro è balzata al costo di 1 €, in pratica il doppio, simultaneamente e poi gli aumenti indiscriminati dei commercianti.
Pensa invece agli introiti vitalizi dei politici e a tutti i loro correlati. 3 milioni di lire prima dell'euro, con l'euro sono diventati 6 mila € . Un bell'affare, non credi? Hanno pensato solo a raddoppiare a curare i loro interessi e alla gogna il popolo.
Leggi:
di Gabriele De Stefani
Dieci anni con l’euro, un terzo dei quali s’è intrecciato con il periodo più nero dell’agricoltura. Se i consumatori non hanno dubbi sul fatto che la moneta unica li abbia impoveriti, qual è stato il suo impatto sul settore primario? L’ufficio economico di Confagricoltura ha provato a fare i conti. Il ragionamento è a valle delle dinamiche di mercato, dunque si analizzano prezzi e costi di produzione esulando dai rapporti di filiera e dagli andamenti a livello macro, che determinano oscillazioni che si avvertono anche sull’ultimo granaio o l’ultima stalla della provincia. Il punto di osservazione scelto da Massimo Battisti, responsabile della struttura interna a Confagricoltura, è in sostanza quello del produttore che confronta quanto incassa e spende oggi (fanno riferimento i valori del 31 dicembre scorso) con le cifre del 31 dicembre 2001, ponderate in base alla rivalutazione della moneta suggerita dall’Istat (+22,5%).
Ne esce un quadro di sostanziale impoverimento per le undicimila aziende mantovane del settore, anche se il trend non può essere unanime: qualcuno (cereali) ha sofferto meno, altri (zootecnia) pagano dazio in maniera più pesante. La sintesi è affidata ai calcoli del professor Ermanno Comegna, economista agrario
e consulente per le politiche comunitarie: al netto dell’inflazione, dunque in termini reali, i redditi sono calati del 14,6% in dieci anni. Possibile, anzi probabile, che altri comparti abbiano sofferto di più, ma il calo resta molto pesante. Sicuramente superiore ai cento milioni di euro per Mantova.
Cereali. Il comparto è quello che ha sofferto meno, in un’ottica di lungo periodo qual è quella che ispira i calcoli di Confagri. Dentro al decennio stanno però periodi di oscillazioni di prezzo violente, con scossoni difficili da assorbire. Le variazioni delle quotazioni in termini reali sono sempre positive: dal +9,39% del mais al +35% del frumento duro, passando per il +18,42% del frumento tenero, il +24% dell’orzo e l +26% della soia. Sono numeri che vanno decurtati delle somme perse per i rincari dei costi di produzione, che analizzeremo oltre. Il bilancio del comparto è agrodolce: apprezzamenti al Mamu non del tutto bruciati dall’aumento dei costi, quadro meno grave rispetto ad altri settori ma bilancia che pende solo di un soffio dalla parte positiva.
Suini. Alla fine del 2001 i suini da macello da 180 chili erano quotati un euro e 40 centesimi. Dieci anni dopo sono fermi a 1,184 euro: perdita del 15,5%. E se si rivaluta la quotazione del 2001 al valore attuale della moneta, si scopre che i suinicoltori hanno visto svanire il 31% del loro capitale. Questo senza contare che i rincari di mangimi e gasolio hanno ulteriormente alleggerito le casse delle aziende.
Bovini da latte e da carne. Prezzo dei vitelloni sostanzialmente stabile in termini reali: da 4,04 a 4,13 euro al chilo. Nove centesimi in più che significano 2,2 punti percentuali guadagnati. Mettendo sulla bilancia anche i rincari dei costi di produzione, il saldo diventa negativo.
Ancora più nero il cielo sopra la testa degli allevatori di vacche da latte, che solo da un paio d’anni hanno ricominciato a respirare dopo aver toccato il punto più basso nel 2008. Oggi il latte si vende a 39 euro al quintale, nel 2001 a 36,5 euro che diventano 44,71 se si rivaluta il denaro. Dunque gli allevatori hanno perso quasi sei euro e oltre dodici punti percentuali in termini reali, oltre a dover far fronte all’inevitabile rincaro delle materie prime. Peggio di chi produce latte, insomma, è andata solo ai suinicoltori.
Costi di produzione. In dieci anni tutto fatalmente è diventato più caro. Ma se si parla dei fattori produttivi la forbice è ben più ampi rispetto al semplice aumento del costo della vita rilevato dall’Istat: un fertilizzante azotato (l’urea) è passato da 38 a 54 centesimi al chilo (+66%), le sementi mediamente da 72 a 97 euro al quintale (+27,7%), i mangimi da 22,5 a 29 euro al quintale (+22,5%), il gasolio agricolo da 82 centesimi a un euro e 29 centesimi al litro (+57,3%). Numeri dunque più pesanti per i coltivatori che per gli allevatori. Ma in nessun caso compensati dalla variazione delle quotazioni di mercato.
Cappito mi hai!!!