Premesso che l'argomento della discussione sarebbero le riflessioni su PAPA BERGOGLIO per cui l'intervento mi sembrerebbe fuori tema, non ho difficoltà ad imbarcarmi in quest'altro argomento già da me trattato in passato
Tenuto conto però che sullo stesso argomento ho avuto l'impressione che per molti di quelli che intervengono la conoscenza del tema mi sembra incompleta preferisco trascrivere un servizio del Jeusalem Post che mi sembra possa interessare. dopo di che possiamo scambiarci le impressioni in una nuova discussione ( @guardiano permettendo)
Storia
Israele: 21 domande, 21 risposte
Luciano Tas, scrittore e giornalista, già direttore del mensile Shalom,ha pubblicato un utile documento per conoscere correttamente la questione israelo-palestinese.
1) Quasi duemila anni fa esisteva uno Stato ebraico in Palestina, ma poi ci hanno vissuto gli arabi, cioè i palestinesi. Dopo tanto tempo non hanno acquisito il diritto alla loro patria?
Gli arabi non hanno abitato a lungo in modo stabile la Palestina.
Continuativamente, solo poco più di un secolo. Per quattro secoli, dal 1516 al
1918, la Palestina è stata una negletta provin-cia turca quasi disabitata,
consegnata dall'incuria dei governi di Istanbul alla sabbia del deserto e alle
paludi. La Palestina (meglio conosciuta in quei secoli come "provincia di
Damasco" e comprendente l'attuale Israele, Cisgiordania, Giordania, Libano e
parte della Siria) incomincia a essere "restaurata" solo a partire dalla
seconda metà dell'800, quando i primi pionieri ebrei, giunti dall'Impero
zarista, creano qualche occasione di lavoro, capace di attirare lavoratori di
altre province turche, come la Siria, l'Iraq, l'attuale Giordania (creata
artificialmente, a tavolino, solo nel 1921), lo stesso Egitto. Maggiori
occasioni lavorative si sviluppano tra la prima e la seconda guerra mondiale,
sia per l'occupazione britannica che per le fatiche dei contadini ebrei, con i
loro aranceti e le terre acquistate a caro prezzo dagli sceicchi arabi e
strap-pate alla sabbia, e al conseguente indotto. Che oggi i palestinesi, cioè i
pronipoti dei tanti lavoratori arabi giunti in Pale-stina un secolo fa, esistano
e abbiano acquisito una coscienza nazionale, prima del tutto inesistente, è
vero. Che abbiano diritto a un loro territorio e a un loro Stato autonomo oltre
alla Giordania, dove più dei due terzi degli abitanti sono palestinesi, è ormai
altrettanto accettato. Ma non è falsando la Storia che questi diritti diventano
più sicuri.
2) Ma allora cos'è, di chi è la Palestina?
Come entità autonoma la Palestina (Peleshet) non è mai esistita, né sono mai
esistite una lingua e una cultura palestinesi. I palestinesi, come i giordani, i
si-riani, i libanesi e gli iracheni (tutte entità nazionali inventate dopo la
prima guer-ra mondiale, nel i 92X)) sono arabi, proprio come i giordani, i
siriani e così via, e tali unicamente si considerano. Per quasi 1900 anni
l'area designata con il nome greco-romano di Palestina (per far dimenticare il
nome stesso di Giudea) non è stata una nazione e non ha avuto frontiere, ma solo confini amministrativi. Gli Arabi conquistano la Palestina soltanto nel 637 e vi regnano fino al 750, per 11 3 anni in totale. Poi vi si alternano Persiani,
Turchi, Circassi, Bizantini, Curdi, e nel 1099 i Cro-ciati cristiani, sconfitti
nel 1187 da un condottiero curdo, il Saladino. Nel 1244 sono delle tribù alleate
di Gengis Khan a occupare e a mettere a sacco la Palestina. Poco dopo
arriveranno i Mongoli, cacciati nel 1516 dai Turchi che costituiranno l'Impero
Ottomano, dalla Turchia ai paesi del Magreb, vale a dire lungo tutta la costa
meridionale del Mediterraneo. I Turchi vi resteranno fino alla fine della prima
guerra mondiale, nel 1918. La decadenza e il degrado della Palestina la fa
apparire una " landa desertica e paludosa (..) quasi disabitata" agli occhi di
Edmondo De Amicis nella seconda metà dell'8OO, mentre nel 1867 Mark Twain
scriveva che la Palestina era (una silenziosa e funerea estensione, una
desolazione (.J Non abbiamo mai visto un essere umano sulla strada (...).
Perfino gli ulivi e i cactus, quegli amici sicuri di un terreno incolto, hanno
per lo più abbandonato il paese (..). La Palestina siede su sacchi di cenere,
desolata e brutta...". Gli unici insediamenti permanenti in Palestina -
segnatamente a Gerusalemme e a Safed, sede ininterrotta quest'ultima di
università religiose - sono stati quelli ebraici, a partire dalla fine del regno
ebraico nel 70.
3) Perché gli ebrei dopo la seconda guerra mondiale hanno scelto di andare
proprio in Palestina, dove già c'erano gli arabi?
Non si può dire che abbiano scelto.
Prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale, il nazismo in Germania già
perseguitava i suoi 500.000 cittadini ebrei. Le disperate richieste di quegli
ebrei di essere accolti nei paesi democratici al fine di evitare quello che già
si profilava chiaramente come il loro tragico destino, vennero respinte. Nel
luglio 1938 i rappresentanti di trentuno paesi democratici s'incontrarono a
Evian, in Francia, per decidere la risposta da dare agli ebrei tedeschi. Ebbene,
nel corso di quella Conferenza, la risposta fu che nessuno poteva e voleva farsi
carico di tanti profughi. Dal canto suo la Gran Bretagna, potenza mandataria
della Palestina, venendo meno al solenne impegno assunto verso gli ebrei nel
1917 di creare una National Home ebraica in Palestina, nel 1939 chiudeva la
porta proprio agli ebrei con il suo Libro Bianco, nel vano tentativo
d'ingraziarsi gli arabi. E' stata questa doppia chiusura a condannare a morte
prima gli ebrei tedeschi e poi, via via che la Germania nazista occupava
l'Europa, gli ebrei austriaci, ce-chi, polacchi, francesi, russi, italiani, e
così via. Il costo per gli ebrei d'Europa, che contavano allora una popolazione
di dieci milioni, fu di sei milioni di assassi-nati, inclusi un milione e mezzo
di bambini. Appena finita la seconda guerra mondiale i 5/600.000 ebrei
superstiti, in mas-sima parte originari dell'Europa orientale, si trovarono
senza più famiglia, senza amici, senza casa, senza poter rientrare nei loro
paesi, dove l'antisemitismo divampava (in Polonia ci furono sanguinosi pogrom
persino dopo la guerra, e nell'Unione Sovietica Stalin dava l'avvio a una
feroce campagna antiebraica). Tra il 1945 e il 1948 nessun paese occidentale,
Gran Bretagna e Stati Uniti in testa, volle accogliere neanche uno di quel mezzo
milione di ebrei displaced persons, come venivano definiti dalla burocrazia
alleata. La Palestina, malgrado la Gran Bretagna e il suo Libro Bianco, sempre
in vigo-re anche dopo la fine della seconda guerra mondiale, non fu quindi una
scelta, ma l'unica speranza, legata al sogno, all'utopia sionista, cioè quella
del "ritorno" a una patria, all'antica patria, il sogno di Teodoro Herzl. Una
patria anti-ca/moderna dove da tempo si era già formata una infrastruttura
ebraica.
4) Gli arabi non hanno mai perseguitato gli ebrei. E perché poi gli arabi
dovrebbero pagare per il fatto che gli ebrei sono stati sterminati dai nazisti?
Se il metro di misura dell'odio per gli ebrei è quello che nei secoli passati
ha esercitato in Europa la Chiesa, con i suoi ghetti, i suoi roghi, i suoi
pogrom, allo-ra si può dire che gli arabi non hanno mai fatto nulla di simile,
almeno nelle stesse dimensioni. Nel passato la vita degli ebrei nei paesi
islamici e negli stessi paesi arabi è stata nell'insieme sopportabile. Di serie
B, ma sopportabile. Gli arabi hanno incominciato a sviluppare in Palestina un
odio "politico" nei confronti degli ebrei pochi anni dopo l'inizio, nel 1920,
del Mandato britannico. L'odio, sapientemente fomentato dai capi arabi, primo
tra i quali il Gran Muftì di Gerusalemme (che durante la seconda guerra mondiale avrebbe raccolto volon-tari per formare una divisione SS araba andata poi a combattere a fianco dei tedeschi contro l'Unione Sovietica), doveva culminare, dopo molti altri gravi fatti di sangue antiebraici, nella strage perpetrata a Hebron nel 1928 contro l'inerme, antica comunità religiosa ebraica. Dopo il rifiuto arabo di accettare nel novembre 1947 la spartizione della resi-dua
Palestina - esclusa cioè la parte maggioritaria della Palestina diventata
Gior-dania - in due Stati, uno arabo e uno ebraico, e dopo la nascita dello
Stato d'Israele, il 15 maggio 1948, i dirigenti dei paesi arabi - Siria, Iraq,
Giordania, Libano, Egitto - mossero i loro eserciti contro il nuovo Stato
ebraico. L'aggressione fallì un anno dopo, ma i paesi arabi non vollero mai
trarre le con-clusioni dal loro fallimento. Per questo non vollero mai assorbire
i 4/500.000 profughi arabi loro fratelli, in gran parte fatti da loro stessi
fuggire dalla Palestina, quella rimasta dopo l'escissione della Giordania, e in
parte costretti ad andarsene, spinti dagli eventi bellici. Preferirono tenerli
confinati in campi, dove la loro sopravvivenza era assi-curata dagli aiuti delle
Nazioni Unite e tenendoli per due generazioni nell'ingrato ruolo di arma
politica contro Israele. Nessun paese arabo, con la parziale eccezione del Regno giordano, volle ac-cogliere e integrare i profughi palestinesi e qualche volta li espulse, come fece il Kuwait, appena liberato nel 1991 dall'occupazione
irachena, una occupazione per la quale i lavoratori palestinesi in Kuwait
avevano prematuramente e inopportu-namente festeggiato. Nello stesso 1948 i
paesi arabi avevano espulso o costretto a partire mezzo milione di ebrei, che
trovarono pronto rifugio in Israele. Questi profughi dai paesi arabi misero a
dura prova la capacità organizzativa ed economica dello Stato ebraico, ma alla
fine la loro integrazione finì per essere compiuta.
5) A proposito del 29 novembre 1947, quando le Nazioni Unite assegnarono una parte della Palestina agli arabi e un'altra agli ebrei. Quella ebraica non fu
forse sottratta agli arabi?
Quando l'ONU votò quella Risoluzione, da parte ebraica ci fu un'esplosione di
entusiasmo, sia fra gli ebrei di Palestina che quelli della Diaspora. Uno Stato
ebraico rappresentava per i primi la salvezza, per i secondi l'assicurazione
sulla vita, un polo di riferimento, una garanzia.
E si trattava di meno di un decimo della Palestina originale, di meno di un
centesimo del mondo arabo.
Lo stesso mondo arabo respinse invece con furore la spartizione di un lembo di
Palestina, che sottraeva alla loro influenza un pur minuscolo, insignificante e
poverissimo spazio. L'assegnazione agli ebrei di quel minuscolo spazio fu
consi-derata dagli arabi una profonda ferita, un'offesa inaccettabile.
Per questo i paesi arabi vicini - Libano, Siria, Iraq, Giordania, Egitto - con
l'appoggio finanziario e militare di tutti gli altri più lontani, non vollero
rispettare la Risoluzione dell'ONU e aggredirono lo Stato d'Israele, prima
ancora che la mezzanotte del 14 maggio ne segnasse la nascita.
6) Israele ha occupato militarmente la Palestina, cacciandone i palestinesi nel '48, nel '49 e nel '67. E ora non vuole farli tornare sulla loro terra, né
restituire i territori occupati nel 1967.
Non è vero che Israele abbia espulso tutti gli arabi durante e dopo le guerre
del 1948, '49 e '67. Altrimenti non si saprebbe spiegare come mai nello Stato
ebraico vivano oggi oltre un milione di arabi di nazionalità israeliana, e come
mai ne vivano un milione e mezzo in Cisgiordania.
Secondo le stime dell'ONU, si può fissare in 4/500.000 gli arabi che lasciarono
o furono cacciati dalla Palestina nel corso di quelle guerre. Una parte era
fuggita dalla guerra, stimolata dagli appelli dei paesi arabi che si
accingevano, secondo le loro intenzioni, a entrare in forza in Palestina e
"buttare a mare gli ebrei". In numerosi messaggi agli arabi di Palestina,
diffusi dalle radio di Damasco e del Cairo, veniva assicurato che essi sarebbero ben resto ritornati alle loro case da vincitori, con tutto quello che questo significava: per il momento però la loro presenza avrebbe ostacolato le
vittoriose operazioni di guerra.
Un'altra parte venne effettivamente cacciata dagli ebrei nel corso delle
opera-zioni belliche.
E' curioso osservare che il numero di arabi che in un modo o nell'altro
lascia-rono la Palestina, è uguale a quello degli ebrei espulsi o costretti a
fuggire dai paesi arabi nel 1948, subito dopo la nascita dello Stato d'Israele,
e che Israele assorbì allora con immense difficoltà. Dei territori occupati da
Israele nel 1967, la Cisgiordania e la parte orientale di Gerusalemme facevano
parte del Regno di Giordania, il Sinai dell'Egitto, e Gaza era occupata
dall'Egitto ma non ne faceva parte, per cui agli abitanti venne sempre
rifiutata la nazionalità egiziana. Si sa che il Sinai venne integralmente
restituito all'Egitto quando nel settem-bre 1978 venne firmato a Camp David dal
Premier israeliano Begin, dal Presidente egiziano Sadat, e con l'autorevole
avallo del Presidente degli Stati Uniti Carter, il trattato di pace. Quanto alla
Cisgiordania e a Gerusalemme Est, la Giordania non volle più trat-tare la loro
restituzione, preferendo girare il problema alle nascenti organizza-zioni
palestinesi che mai, nei decenni precedenti, avevano rivendicato una so-vranità
su quei territori: i palestinesi della Cisgiordania erano semplicemente
cittadini giordani, come lo sono tuttora i palestinesi di Giordania, vale a dire
i due terzi degli abitanti il Regno hascemita. Perché poi gli abitanti della
Cisgior-dania non abbiano mai rivendicato un loro Stato quando facevano parte
della Giordania, e gli arabi di Gaza non abbiano fatto altrettanto durante
l'occupazione egiziana, nessuno lo ha spiegato.
7) Ma Israele non ha voluto accogliere i profughi palestinesi
In seguito agli accordi di Oslo del 1993, il negoziato di pace tra Israele e
Or-ganizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat, sembrava
giunto a conclusione a metà del 2000: Israele aveva offerto ai palestinesi il
98% della Cisgiordania e naturalmente Gaza, con la possibilità di una strada
extraterritoria-le che unisse la prima alla seconda, e un settore orientale di
Gerusalemme. L'offerta, avallata negli Stati Uniti dal Presidente Clinton,
venne però respinta da Arafat, il quale volle aggiungere alle clausole di pace
anche l'impegno d'Israele di prendersi - nel territorio d'Israele - quattro
milioni, quattro milioni e mezzo di "profughi" palestinesi, quanti cioè
sembravano essere diventati secon-do i calcoli dell'OLP, i discendenti di quei
41500.000 del 1948. Con una popolazione ebraica di cinque milioni, la pretesa
diventava palese-mente provocatoria, come ebbe a dichiarare senza mezzi termini lo stesso Presi-dente degli Stati Uniti ad Arafat. Facendo le debite
proporzioni, come farebbe l'Italia, con tutta la buona volon-tà, ad assorbire
40, 45 milioni di immigrati nel suo territorio?
8) E' stato Israele, e non i paesi arabi, ad avere incominciato la guerra del
1967, allo scopo di espandere il suo territorio.
E' falso. E bisogna fare un passo indietro. Nel 1955 l'Unione Sovietica decise
di "cambiare cavallo": dall'appoggio politico dato a Israele nel 1948, passò
ad appoggiare,. politicamente e militarmente, l'Egitto, fino a rompere
pretestuosa-mente le relazioni diplomatiche con Israele. L'Egitto di Nasser
voleva prendersi la rivincita della sconfitta subita nel 1948 e 1949, e
incominciò ad ammassare nel Sinai truppe e mezzi corazzati forniti dall'URSS.
Nel 1956 Israele prevenne l'attacco egiziano e travolgendo i mediocri mezzi
motorizzati forniti dall'URSS, occupò tutto il Sinai, giungendo fino al Cana-le
di Suez. Le pressioni e le garanzie americane persuasero pochi mesi dopo Israele a ri-tirarsi da tutti i territori egiziani occupati. A partire dai primi anni
Sessanta l'Egitto ricominciò a preparare una seconda rivincita, con l'aiuto
ormai tanto scoperto quanto massiccio, dell'Unione Sovieti-ca, che mirava a
sostituire l'influenza americana nella regione con ogni mezzo. I raid di
terroristi palestinesi e di commando egiziani contro kibbuz israeliani si
moltiplicavano, partendo dalle basi di Gaza. In perfetta sintonia si muovevano
dal fronte opposto i siriani, i quali dalle al-ture del Golan sparavano con le
loro artiglierie sui sottostanti insediamenti e kibbuz ebraici di Galilea. Dopo
alcuni mesi di tensione, il 7 aprile 1967 artiglierie e carri armati siriani
attaccano pesantemente villaggi ebraici di frontiera. Damasco fa alzare in volo
i suoi caccia, ma quelli israeliani ne abbattono sei. L'umiliazione di Damasco
è cocente. L'URSS riprende massicciamente i suoi rifornimenti di armi alla
Siria e all'Egitto. Poi a maggio i suoi servizi segreti forni-scono a siriani
ed egiziani un'informazione falsa. Dicono cioè che Israele ha am-massato truppe e mezzi corazzati ai confini con la Siria. Il Segretario Generale dell'ONU,
Sithu U Thant, smentisce: "I rapporti degli osservatori delle Nazioni Unite
hanno confermato l'assenza di concentramenti di truppe o movimenti di truppe di qualche rilievo su ambo i lati della linea armistiziale ".
Il 14 maggio è l'Egitto che fa sbarcare numerose unità oltre il Canale per
rinforzare il suo già massiccio schieramento nel Sinai. 1116 maggio il
Presidente egiziano Gamal Abdel Nasser intima al comandante delle forze
dell'ONU nel Sinai e a Gaza, generale Rikhye, di sgombrare le truppe presenti
nel Sinai dal 1957, all'indomani del conflitto che aveva visto Israele arrivare
al Canale di Suez. Poi Nasser proclama il 22 maggio il blocco dello Stretto di
Tiran: nessuna na-ve, di nessuna nazionalità, che si rechi al porto di Eilat, in
Israele, o che da Eilat parta, potrà più passare. Secondo il diritto
internazionale è "atto di guerra". Le dodici potenze marittime non onorano le
garanzie che nel 1956 avevano offerto a Israele per la libertà di navigazione, e
non mandano le loro navi da guerra a proteggere la libertà di navigazione. Il 30
maggio re Hussein di Giordania mette le sue truppe sotto il comando e-giziano.
Truppe egiziane, saudite, irachene affluiscono in Giordania. Truppe ira-chene,
algerine e kuwaitiane raggiungono invece l'Egitto. Il 3 giugno il generale
Murtaji, capo delle forze egiziane nel Sinai, dirama un ordine del giorno alle
truppe, nel quale invoca "la Guerra Santa con cui voi rista-bilirete i diritti
degli arabi conculcati in Palestina e riconquisterete il suolo deru-bato della
Palestina ". (Da notare che il generale parla di arabi e di Palestina, ma non
di palestinesi, che nessun paese arabo nel 1967 conosceva e riconosceva, tanto è vero che quando la Cisgiordania era parte della Giordania non si sentiva neanche parlare di sovranità palestinese). Il 5 giugno 1967, all'alba, Israele
risponde.
9) Perché gli ebrei, che hanno tanto sofferto per il nazismo, fanno ai
palestinesi quello che i tedeschi hanno fatto a loro?
Ecco un esempio di "parole malate". Iiabuso di certi termini finisce per
di-struggerne il significato. I nazisti sono quelli che hanno scientificamente
stermi-nato sei milioni di ebrei, tra cui un milione e mezzo di bambini, che
hanno prodi-toriamente invaso e saccheggiato i paesi europei, devastato,
bruciato, distrutto e ucciso e fatto uccidere milioni di persone. I nazisti si
erano prefissi di distruggere non un nemico, che in realtà esisteva solo nella
loro mente malata, ma tutto un popolo, quello ebraico, con accuse immaginarie e folli. Non si trattava dunque di un conflitto, come quello che contrappone
israeliani e palestinesi, ma di un ge-nocidio. La differenza non è piccola.
Definire "nazisti" gli ebrei è quindi affermare il falso e commettere
un'infamia. Se poi a dare una simile definizione sono degli europei, cui meglio
converrebbe come minimo il silenzio per tutte le loro responsabilità, dirette e
indirette, per le persecuzioni e lo sterminio degli ebrei, l'infamia diventa
anche più abietta. L'occupazione israeliana di territori abitati da arabi non è
stata sempre indolore. Nessuna occupazione militare lo è mai. Ma non è successo in Israele quello che è accaduto in Europa, dove decine di milioni di persone, dopo la seconda guerra mondiale, sono state cacciate dalla loro terra. In Israele vivono più di un milione di cittadini israeliani arabi con pieni
diritti, e oltre due milioni di arabi vivono in Cisgiordania e a Gaza. Oggi
nessuno in Europa, tedeschi, polacchi, italiani, rivendica la terra e le case
abbandonate quando la guerra ha ridisegnato confini e proprietà, come
nor-malmente accade quando dei paesi vincono una guerra e altri la perdono. Ma tutto in Europa ha finito per sistemarsi perché c'era la volontà generale di
farlo e nessuno ha speculato sull'esodo forzato di milioni di persone.
10) Sionismo uguale a razzismo.
All'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove la maggioranza dei seggi
appartiene ai paesi islamici e ai loro alleati, già una volta fu votata questa
ignobile equiparazione. Le Nazioni Unite sono sicuramente una istituzione
democratica, la maggioranza dei cui membri è però altrettanto sicuramente
antidemocratica. E di tanto in tanto questa maggioranza automatica ci riprova.
Che cos'è il sionismo? E' l'idea, affermata da Teodoro Herzl sul finire del
XIX secolo, che l'antisemitismo non può essere vinto se non con la costituzione
di uno Stato ebraico in grado di garantire la sicurezza degli ebrei che ne fanno
parte, con un passaporto che li protegga ovunque si trovino: uno Stato che li
accolga quando ne hanno bisogno, un governo che li rappresenti nei consessi
internazionali, e un esercito pronto a difenderli. E ancora: il sionismo è oggi
la realizzazione politica e nazionale di un sogno millenario mai dimesso. Il
sionismo è uno Stato ebraico che offre un confortevole margine di sicurezza agli
ebrei di tutto il mondo, garantendo con legge dello Stato (la "Legge del
Ri-torno") il loro diritto permanente a entrare in Israele, diventandone
immediata-mente cittadini. Con uno Stato ebraico non si ripeterà più quanto è
accaduto nei secoli, e soprattutto prima della seconda guerra mondiale, quando nessun paese volle accogliere gli ebrei per salvai loro la vita. Questa l'idea di Teodoro Herzl, questo e nient'altro è il sionismo. E' interessante
osservare che nel 1897 nascevano a poche settimane di di-stanza il primo partito socialista russo in assoluto, l'Unione Generale Operaia Ebraica di Russia e di Polonia", brevemente detta Bund e l'Organizzazione Sioni-sta Mondiale, le due anime dell'ebraismo dell'impero russo. Al di là delle formulazioni teoriche, il socialismo e il sionismo sono semplici da spiegarsi. Il primo risponde a un'esigenza di giustizia, molto forte nel dettato religioso ebraico, il secondo nasce da un giornalista austriaco, Theodor Herzl, che incontrando nella Francia uscita dalla grande Rivoluzione una imprevedibile campagna antisemita seguita al famigerato processo Dreyfus, si rese conto che l'antisemitismo non era eliminabile né dal liberalismo, né dal socialismo. Herzl arrivò alla conclusione che agli ebrei restava una sola strada valida: dar vita a un loro Stato indipendente e sovrano. Il sionismo è tutto qui. L'antisemitismo si è sempre mascherato dietro qualche nome: gli ebrei sono stati a lungo deicidi per la Chiesa, semplicemente giudei per i nazisti, che non avevano bisogno di mascherare le loro idee, cosmopoliti per Stalin, che non riteneva producente dichiararsi antisemita e basta, sionisti per larghi settori politici (che si vergognavano di dirsi antisemiti), a partire da quando la politica estera sovietica nel 1955 era cambiata radicalmente in favore dei paesi arabi. Ecco come la parola "sionismo" ha assunto una connotazione negativa.
11) Gli israeliani si sono macchiati della strage di Sabra e Chatila del 1982.
Il 6 giugno 1982 Israele lancia un attacco con 60.000 soldati in Libano, dove
l'OLP ha istituito una specie di Stato nello Stato, e da dove partono gli
attentati contro i villaggi israeliani al confine settentrionale. L'OLP è
costretto a trincerarsi dentro Beirut, già dal 1975 in preda alle convul-sioni
della guerra civile. Sotto il controllo di forze dell'ONU francesi, americane e
italiane, alla fine d'agosto una parte dell'OLP lascia il Libano. Alla fine
dell'anno successivo sarà costretto a lasciarlo definitivamente anche Arafat.
La vittoria israeliana nel sud e al centro del Libano è salutata con entu-siasmo
dai libanesi cristiani, che eleggono alla Presidenza del paese un loro illu-stre
combattente, Bashir Gemayel, l'uomo della pace con Israele. Prima ancora di
prendere possesso della carica, Bashir Gemayel viene assas-sinato. I libanesi
cristiani vogliono vendicarsi dell'assassinio del loro condottiero Ba-shir.
Così penetrano nella parte occidentale di Beirut in mano israeliana, dilagano
nei due quartieri di Sabra e Chatila e compiono un vero e proprio massacro.
Quasi mille palestinesi vengono sgozzati. La carneficina riempie d'orrore
l'opinione pubblica di tutto il mondo, che subi-to punta il dito contro Israele
che controllava la zona. Qui però Israele dimostra la sua robusta collocazione
democratica. Il governo (di destra) non esita a nominare una commissione
d'inchiesta che dimostra la sua assoluta indipendenza e, senza guardare in
faccia nessuno e nemmeno farsi condizionare dalla delicatezza della situazione
politica (estera e interna) d'Israele, accerta la responsabilità oggettiva dei
comandi militari, ma anche quella politica del governo. I responsabili,
riconosciuti colpevoli di non essere intervenuti a impedire la strage, sono
tutti esemplarmente puniti. Il mini-stro della Difesa Ariel Sharon è costretto a
dimettersi. La crisi farà poi cadere il governo. Il bilancio libanese di tanti
anni di feroce guerra civile, in gran parte fomenta-ta e diretta dalla Siria, è
disastroso. Tra i 1975 e la fine degli anni Ottanta sono morti 150.000 libanesi,
su una popolazione di poco più di due milioni.
12) Ma perché i palestinesi non possono tornare a casa loro?
Chi può essere qualificato "profugo palestinese"? Secondo l'ONU era
conside-rato profugo palestinese qualunque arabo che avesse vissuto in Palestina per due anni, e che avesse lasciato il paese nel 1948. Due anni di permanenza ed ecco che anche un siriano, un iracheno, un giordano, tutti sono trasformati in palestinesi e profughi. Quando nella Dichiarazione Balfour del 1917 si garantiva agli ebrei una Natio-nal Home in Palestina, per Palestina non s'intendeva il territorio al di qua del Giordano, ma in realtà tutta la Palestina, cioè il territorio del futuro Mandato nella sua interezza. Quindi la National Home
ebraica doveva essere costituita su una parte della Palestina e non su una parte di una piccola parte della Palestina. Il distacco della Giordania, che
rappresentava il 75% della Palestina, fu un at-to arbitrario di Londra ed una
violazione della Dichiarazione Balfour. Quanto ai profughi palestinesi del
'48/'49, il loro numero, come abbiamo già visto, non superava i 4/500.000,
anche considerando "refugees" chi era entrato in Palestina solo due anni
prima. Se nelle ultime richieste di Yasser Arafat, quel numero viene
moltiplicato per dieci, è evidente che non c'è volontà (o possibilità) di giungere a un accordo definitivo. Nessun paese al mondo potrebbe assorbire un numero di immigrati pari all'80% della sua popolazione. Non vi sono precedenti
nella Storia di un "diritto al ritorno", né la giurispru-denza internazionale
lo prevede. Giusto o sbagliato che sia, l'orologio della Storia non può esser
rimesso indietro di oltre mezzo secolo. E' curioso poi che tale "diritto" sia
stato preteso non per il ritorno dei palestinesi in uno Stato palestine-se, ma
nello Stato d'Israele.
13) Ma perché gli israeliani vogliono avere proprio Gerusalemme come capitale? Che diritto ne hanno, dopo esserne stati assenti per quasi duemila anni?
Gli ebrei non hanno mai lasciato Gerusalemme e anzi, secondo tutte le
stati-stiche note, vale a dire dalla metà dell'8OO, a Gerusalemme gli ebrei
hanno sempre costituito la maggioranza relativa della popolazione, che a una
delle prime rilevazioni statistiche ammontava in totale a 15.000 persone.
Nel 1876, assai prima dunque della nascita del sionismo, vivevano a Gerusa-lemme 25.000 persone, delle quali 12.000, quasi la metà, erano ebrei, 7500 musulmani e 5500 cristiani.
Nel 1905 gli abitanti erano saliti a 60.000. Di questi 40.000 erano ebrei, 7000
musulmani e 13.000 cristiani.
Nel 1931 su 90.000 abitanti, gli ebrei erano 51.000, i musulmani 20.000 e i
cristiani 19.000.
Nel 1948, alla vigilia della nascita dello Stato ebraico, la popolazione di
Geru-salemme era quasi raddoppiata: 165.000 persone, di cui 100.000 ebrei,
40.000 musulmani e 25.000 cristiani. La presenza ebraica a Gerusalemme ha sempre costituito il nucleo etnico nu-mericamente più forte. Con Gerusalemme gli ebrei hanno sempre avuto un forte legame religioso, storico, nazionale, e di nessun altro popolo Gerusalemme è mai stata capitale. E' quindi una leggenda
l'affermazione che gli ebrei siano stati assenti da Ge-rusalemme per quasi
venti secoli o che costituissero una insignificante percen-tuale della
popolazione gerosolimitana.
14) Israele non ha voluto portare a compimento gli accordi di Oslo del 1993.
E' vero il contrario, e cioè che Arafat ha volutamente fatto saltare quegli
ac-cordi quando si è accorto che potevano sul serio essere realizzati.
L'accordo di Oslo del 1993, perfezionato nel 1995, prevedeva il progressivo
ri-tiro israeliano da gran parte della Cisgiordania e da Gaza, fatte salve tutte
le misure di sicurezza necessarie. Il territorio evacuato da Israele sarebbe
stato gradualmente affidato "in ge-stione a una Autorità palestinese".
Preliminare ad ogni passo verso la concreta attuazione dell'accordo erano il
ri-fiuto ad ogni atto di terrorismo e il. reciproco riconoscimento. Molti
termini di questo pre-accordo erano in parte stati deliberatamente tenuti nel
vago: ognuna delle due parti li avrebbe interpretati come voleva, ma non
impegnavano nessuno. I nodi cruciali del contenzioso israelo-palestinese, dopo l'offerta del Premier israeliano Barak di evacuare il 95-98% della Cisgiordania (e naturalmente tutta Gaza) erano sostanzialmente questi: Primo. Gerusalemme, per la quale i palestinesi volevano una soluzione che non li escludesse da quella che consideravano la loro capitale. Israele aveva offerto all'Autorità palestinese il controllo del quartiere orientale della città e un compromesso per il Monte del Tempio (o Spianata delle Moschee). Secondo. Quanti insediamenti israeliani nelle zone che sarebbero andate all'Autorità palestinese sarebbero stati smantellati? Presumibilmente sarebbero rimasti sotto l'autorità israeliana solo quegli insediamenti di sicura stabilità che avrebbero garantito la sicurezza militare dello Stato ebraico e alcuni altri che rappresentano motivi cari ai religiosi. Il discorso rimaneva aperto. Terzo. E questi insediamenti che status avrebbero avuto? Secondo Israele a-vrebbero dovuto godere di una sorta di extra-territorialità. Anche qui l'applicazione degli
accordi avrebbe richiesto lunghe consultazioni israelo-palestinesi in un clima
di pacificazione. Quarto. Quale sarebbe stato il disegno finale del nuovo
spiegamento israelia-no di forze, quali i punti considerati strategici? Quinto.
Gaza come sarebbe stata collegata con la Cisgiordania? Si ipotizzava una strada sopraelevata extraterritoriale a sorveglianza mista israelo-palestinese. Se questi negoziati si sono impantanati, ciò è stato determinato dal fatto che
Arafat ha dimostrato di non avere l'intenzione o la possibilità di concludere
la pace. Di fronte all'offerta del Premier laburista israeliano Ehud Barak di
cedere all'OLP il 95-98% della Cisgiordania, oltre a Gaza e a un settore arabo
di Gerusa-lemme per costituirvi la capitale della "entità palestinese", Arafat
rifiutava e "rilanciava', chiedendo, come abbiamo visto, che Israele
assorbisse entro i suoi confini quattro milioni, quattro milioni e mezzo di
profughi arabi, vale a dire i figli, nipoti, bisnipoti, parenti e amici dei
quattro, cinquecentomila profughi del 1948/49. Invece di mettere una firma o di
presentare una controproposta, il leader pa-lestinese organizzava una nuova e
più cruenta Intifada, prendendo a risibile pretesto una passeggiata considerata
provocatoria (ma effettuata dopo accordi precisi presi con l'autorità musulmana
delle Moschee) di Ariel Sharon, non anco-ra Premier e in quel momento capo
dell'opposizione, sulla Spianata delle Mo-schee (o Monte del Tempio, a seconda dell'ottica). Per questo si sono acuite l'insicurezza e i timori degli
israeliani, che già si era-no divisi sull'iniziativa di pace di Rabin.
Insicurezza e timori resi più acuti dai crescenti atti terroristici palestinesi,
perpetrati proprio per sabotare ogni nego-ziato. Una visione distorta e
degenerata del dettato religioso aveva fatto armare la mano di un giovane ebreo, ortodosso fanatico, che la sera di sabato 4 novembre 1995 uccise il Premier Yitzaak Rabin, artefice degli accordi di Oslo. Da quel momento i governi
israeliani, di sinistra o di destra, sono risultati tutti indeboliti. Shimon
Peres, Benjamin Netanyahu, Ehud Barak, e oggi in parte forse anche Ariel Sharon, non hanno più avuto quella larga maggioranza di consensi necessaria per affrontare i forti nodi da sciogliere.
Non può meravigliare che i timori e il senso d'insicurezza degli israeliani
siano molto aumentati dopo il fallimento della proposta di Barak, che lo pagò
con una bruciante sconfitta elettorale. Ovviamente timori e insicurezza
indeboliscono Israele. I2atteggiamento di Arafat di fronte alle offerte di Barak
spiega inoltre come mai l'opinione pubblica e per la prima volta gli
intellettuali d'Israele si siano compattati intorno a Sharon. Gli intellettuali
israeliani si sono sempre schierati in larghissima parte con il fronte politico
progressista e pacifista. Scrittori noti anche in Italia, come Abra-ham
Yehoshua, Amos Oz, David Grossman, Yoram Kaniuk, Un Orlev, Meir Shalev e così via, hanno sempre sostenuto con forza i diritti dei palestinesi. Il movimen-to
"Shalom Achshav", Pace Subito, ha riempito spesso le piazze d'Israele. Di
fronte alla palese intenzione della dirigenza palestinese di non voler
con-cludere alcuna pace, ma anzi, di costringere Israele a una resa senza
condizioni, questo non poteva essere accettato neanche dal più ostinato dei
pacifisti.
15) Gli israeliani rispondono con le armi al lancio di sassi da parte di
ragazzi.
E' un ragazzino di 11 anni quello che in Macedonia ha ucciso con un
sasso un soldato inglese di 20, arrivato con altri soldati europei per dare una
garanzia di pace alla zona. I sassi possono uccidere, come è accaduto in Italia
con quelli gettati dai ca-valcavia sulle strade e autostrade. Se gli adulti non
temono, come fanno gli estremisti arabi nei territori dell'Autonomia
palestinese di farsi scudo di ragazzi e di bambini per proteggere il
cecchinaggio, la responsabilità ricade interamente su di loro. E talvolta è il
fuoco arabo che uccide i bambini arabi, anche se la loro propaganda che ha
successo nei media internazionali, accusa sempre e soltanto Israele.
16) Ma le rappresaglie israeliane? L'uccisione mirata dei capi dei movimenti
palestinesi nei territori dell'Autonomia?
Quale risposta alternativa ci sarebbe alle stragi nei supermarket, nelle
disco-teche, nei ristoranti, nelle strade e piazze d'Israele? Che cosa potrebbe
dissuadere coloro che mandano dei poveri esaltati fanatici a farsi saltare in
aria insieme a israeliani presi a caso, se non forse la loro eliminazione
fisica? Se un bandito o un pazzo compie una strage, non si cerca di catturarlo
ed eventualmente ucciderlo per evitare altre stragi? C'è poi da notare che ogni
volta che Israele distrugge per rappresaglia qual-che posto di polizia
palestinesi, lo fa sapere in anticipo. Altrimenti non si capirebbe come un
attacco portato da carri armati, aerei, elicotteri e navi, non produca che un
numero minimo di vittime e quasi nessuna tra la popolazione civile.
17) Gli attentatori suicidi, i kamikaze palestinesi, sono dei martiri che si
sacrificano per ottenere una patria.
I kamikaze erano piloti giapponesi che, a
guerra ormai perduta, volevano sal-vare l'onore della loro patria, secondo una
concezione molto lontana dalla cultura e dalla civiltà occidentali, e si
gettavano, facendo esplodere i loro aerei, sulle tolde delle navi da guerra USA.
Navi da guerra, non ristoranti e discoteche. Chi si fa saltare insieme ai
ragazzi che ballano o agli avventori di una pizzeria o tra i banchi di un
mercato, non compie alcuna azione eroica, né tutela un ono-re che così anzi
viene offeso e calpestato.
18) Anche gli ebrei per conquistare la loro indipendenza hanno richiamato
l'attenzione dell'opinione pubblica compiendo attentati terroristici.
Dopo la seconda guerra mondiale e negli anni del Mandato britannico, di fron-te
all'ostinata politica filoaraba e antiebraica dell'Inghilterra, ci fu un
episodio terroristico ebraico, quando fu fatto saltare un albergo di
Gerusalemme, il King David, che ospitava il quartier generale militare inglese.
Prima di farlo saltare, i suoi occupanti furono avvisati e si salvarono quasi
tut-ti. Non si ricorda che una, e una sola azione terroristica ebraica, ormai
lontana nel tempo, contro la popolazione civile araba, e nel corso di una
guerra. Non si può dire altrettanto del terrorismo arabo.
19) Israele organizza azioni belliche con armi pesanti, elicotteri e aerei,
contro popolazioni civili.
Ma è proprio quello che evita bagni di sangue. Le azioni sono sempre mirate con sorprendente accuratezza. Non si capirebbe altrimenti come un missile po-trebbe essere guidato con precisione millimetrica (un ufficio, una finestra)
sull'obiettivo prefissato. Talvolta purtroppo succede che dei civili vengano
coinvolti, ma è la conse-guenza del terrorismo organizzato a freddo dalla
direzione palestinese.
20) Che il "falco" Sharon sia stato eletto capo del governo israeliano è una
provocazione, ed è la dimostrazione che gli israeliani non vogliono la pace.
Probabilmente se Arafat avesse accettato le proposte del precedente Premier
israeliano, Ehud Barak, la pace sarebbe ora vicina e il popolo d'Israele lo
avrebbe confermato alla guida del paese. Si può quindi affermare che è stato
Arafat a determinare il successo di Sharon, che oggi, secondo tutti i sondaggi,
gode dell'appoggio del 70% della popolazione, la quale evidentemente non erede più alla buona fede di Arafat, o alle sue effettive possibilità di controllare i
suoi quadri.
Di fronte al rifiuto di Arafat il governo israeliano di coalizione (della destra
e della sinistra) ha prontamente accettato tutti gli accordi precedenti quel
rifiuto.
21) Se gli israeliani hanno la coscienza a posto, perché non accettano la
presenza di osservatori internazionali?
Gli osservatori internazionali non potrebbero impedire le azioni terroristiche
palestinesi, ma impedirebbero le risposte israeliane, perché le prime sono
evi-dentemente sempre clandestine e sfuggono ad ogni controllo. I terroristi
potreb-bero continuare a compiere i loro attentati nei luoghi affollati
d'Israele senza preoccuparsi della presenza di osservatori neutrali. Israele,
che è un paese so-vrano, membro dell'ONU, riconosciuto internazionalmente, non potrebbe rispon-dere se gli osservatori neutrali coprissero, magari
involontariamente, le basi da cui partono gli attentatori. L'esperienza degli
osservatori in Libano e successivamente in Bosnia non offre sufficienti
garanzie. Nessun accordo davvero e finalmente fattivo può essere raggiunto senza una vera tregua e prima che l'Autonomia Palestinese abbia debellato le sue frange estremiste, sotto qualunque sigla si nascondano.
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