Vi prego di leggere quanto segue ed in particolare la conclusione.
Se il contratto è nullo, è nullo per entrambi pertanto l?inquilino sarebbe abusivo e dovrebbe lasciare libero l'alloggio.
Susy, non disperare, non tutto è perduto. Il Sig. Inquilino è responsabile quanto te, con la differenza che tu, almeno l'aspetto fiscale l'hai sanato.
SULLA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLA NULLITÀ DEI CONTRATTI DI LOCAZIONE NON REGISTRATI
di Elisabetta Rispoli
La norma sulla nullità del contratto di locazione non registrato, introdotta dalla legge finanziaria per il 2005, ha superato il vaglio di costituzionalità. La Corte costituzionale con l'ordinanzan. 420 del 5 dicembre 2007 [1] ha, infatti, dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nella parte in cui prevede la nullità dei contratti non registrati. È stata considerata, dunque, legittima la scelta operata del legislatore che, al fine di contrastare le condotte evasive perpetrate in ambito immobiliare, aveva introdotto una disposizione sanzionatoria, che aveva alimentato un ampio dibattito dottrinale sulla natura e sugli effetti della mancata registrazione del contratto.
Come noto, la legge finanziaria per il 2005 (art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004) aveva riservato una novità non gradita ai locatori prevedendo che «i contratti di locazione o che comunque costituiscono diritti reali di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». Per avere un quadro normativo completo nella materia, occorre rammentare, inoltre, che, ai sensi dell'art. 2 del D.P.R. n. 131 del 1986, Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, sono soggetti a registrazione «a) gli atti indicati nella tariffa, se formati per iscritto nel territorio dello Stato; b) i contratti verbali indicati nel comma primo dell'art. 3 [...]». Il successivo art. 3 del D.P.R. n. 131 del 1986 prevede che siano soggetti a registrazione «i contratti verbali a) di locazione o affitto di beni immobili esistenti nel territorio dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite». Infine, secondo l'art. 5 della Tariffa del sopra menzionato D.P.R., sono soggetti a registrazione in termine fisso gli atti di «locazione e affitto di beni immobili: a) quando hanno per oggetto fondi rustici; b) in ogni altro caso».
I primi interpreti facevano discendere, dalla lettura coordinata delle disposizioni citate, la nullità di tutti i contratti di locazione, ovvero dei contratti di locazione che costituiscono diritti reali di godimento, sottoscritti in data successiva all'1 gennaio 2005 e non registrati [2]. Questa era anche l'opinione del Tribunale di Torino che, con l'ordinanza dell'1 giugno 2006 [3], aveva sollevato, in riferimento all'art. 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria per il 2005), nella parte in cui prevede la nullità dei contratti di locazione, comunque stipulati, nell'ipotesi di mancata registrazione. Il giudice rimettente, chiamato a pronunciarsi su un'intimazione di sfratto per morosità con contestuale citazione per la convalida, rilevava, in sintesi, che la disposizione in questione, subordinando la validità del rapporto civilistico di locazione all'adempimento di un onere fiscale, qual è la registrazione, appariva in contrasto con la citata norma costituzionale, in quanto condizionava all'espletamento di una tale formalità l'esercizio del diritto del locatore di agire in giudizio. Infatti, osservava il giudice a quo, la verifica dell'avvenuta registrazione del contratto di locazione è circostanza del tutto estranea alle finalità del giudizio principale. Quest'ultimo è diretto, in particolare, all'accertamento dell'inadempimento da parte del conduttore degli obblighi nascenti dal contratto di locazione e, quindi, in definitiva, ad una pronuncia di risoluzione del rapporto, cui consegue il rilascio dell'immobile occupato; al contrario, la nullità è diretta a colpire e disincentivare i comportamenti di coloro che, non provvedendo alla registrazione del contratto, pongono in essere locazioni produttive di redditi non dichiarati ai fini delle relative imposte. Aggiungeva, inoltre, il rimettente che proprio il tenore letterale della norma impugnata induceva a ritenere che la stessa abbia voluto prevedere la sanzione della nullità in tutti i casi di omessa registrazione del contratto di locazione. Si determinerebbe, così, l'introduzione nel nostro sistema di un'ipotesi di invalidità del tutto differente rispetto a quelle stabilite nell'art. 1418 c.c., che si caratterizzano, come noto, dalla mancanza dei requisiti essenziali del contratto, ovvero dalla illiceità degli stessi. Il giudice a quo osservava, ancora, che la nuova disposizione avrebbe subordinato gli effetti del contratto di locazione all'esistenza di un requisito estraneo e successivo alla manifestazione di volontà delle parti e alla formazione del contratto, cosicché si sarebbe determinato, in questi casi, un ulteriore elemento costitutivo del contratto, nuovo rispetto a quelli già previsti dall'art. 1325 c.c. Inoltre, sempre secondo il medesimo giudice, sembrerebbe irragionevole collegare la sanzione della nullità alla violazione di un incombente di natura fiscale, in quanto la mera omissione di un adempimento di natura tributaria imposto ad entrambe le parti, successivo alla formazione del sinallagma contrattuale e, peraltro, affidato alla competenza di un organo amministrativo estraneo alla negoziazione, determinerebbe la conseguenza della caducazione del contratto. Proseguiva, infine, il Tribunale, osservando che il dubbio di costituzionalità della disposizione censurata si porrebbe anche alla luce degli effetti che un'eventuale declaratoria di nullità produrrebbe nel rapporto tra le parti. La nullità, infatti, investe in radice il contratto e determina, da un lato, la perdita del diritto del locatore di ricevere il canone di locazione e, dall'altro, qualifica lo stesso conduttore quale occupante sine titulo con diritto alla restituzione di tutto quanto già versato in precedenza in forza del contratto nullo. Peraltro, trattandosi di nullità rilevabile d'ufficio e da parte di chiunque vi abbia interesse, il Tribunale sottolineava che la possibile declaratoria di nullità del contratto non registrato esporrebbe lo stesso conduttore ad una situazione di incertezza per il rischio di veder caducato il proprio contratto di locazione ad opera di un terzo, acquirente dell'immobile già locato con contratto non registrato.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 420 del 5 dicembre 2007, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione sollevata. I giudici delle leggi, per ciò che concerne la presunta violazione dell'art. 24 Cost., rilevano l'inconferenza del parametro costituzionale invocato, dal momento che l'ordinanza di rimessione non chiarisce sotto quale profilo sia prospettata la violazione della citata disposizione costituzionale; ciò, in considerazione del carattere sostanziale della norma denunciata, che non attiene alla materia delle garanzie di tutela giurisdizionale, ma si limita a sancire una nullità non prevista dal codice civile. Gli stessi giudici, inoltre, sottolineano che la predetta norma - come esattamente evidenziato anche dalla difesa erariale - non introduce ostacoli al ricorso alla tutela giurisdizionale, ma eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la cui violazione determina la nullità del negozio, ai sensi dell'art. 1418 c.c. In merito, poi, alla presunta irragionevolezza della norma censurata, la Corte osserva che la stessa viene solo adombrata, in assenza di una formale evocazione del parametro di cui all'art. 3 Cost. e che, in ogni caso, il predetto richiamo alla irragionevolezza costituisce un mero argomento teso a supportare la denunciata violazione dell'art. 24 Cost.
La sentenza in questione, dunque, con una sintetica motivazione, sembra voler porre termine al vivace dibattito dottrinale che si era sviluppato all'indomani dell'entrata in vigore della legge finanziaria per l'anno 2005, che aveva coraggiosamente introdotto una norma destinata a far discutere per la creazione di una categoria nuova di nullità non comminata dalla legge per condizioni o carenze originarie del contratto, ma per effetto di un adempimento di natura tributaria, imposto ad entrambe le parti del contratto successivamente alla stipula dello stesso.
Quel che ormai sembrerebbe acclarato è che con questa sentenza la Corte sancisce in maniera inequivocabile che la violazione dell'obbligo della registrazione determina la nullità del negozio ex art. 1418 c.c. e che l'invalidità del contratto non esplica i suoi effetti solo ai fini fiscali [4], ma anche in ambito civilistico. Ciò determina evidentemente delle gravi conseguenze per entrambi i contraenti e, in particolare, per l'inquilino che sembrerebbe subire gli effetti più gravi.
Quest'ultimo, infatti, non avendo acquistato il diritto all'uso dell'immobile, sarà tenuto alla restituzione dello stesso secondo le norme civilistiche di cui agli artt. 1418 ss. c.c. e sarà esposto al rischio di dover anche corrispondere al proprietario una indennità a titolo risarcitorio per l'occupazione sine titulo dell'appartamento da lui posta in essere.
[1] «È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, censurato, in riferimento all’art. 24 Cost., nella parte in cui prevede che i contratti di locazione sono nulli se non sono registrati. Appare, infatti, non conferente il parametro evocato, dal momento che nell’ordinanza di rimessione non è chiarito sotto quale profilo sia prospettata la sua violazione, stante il carattere sostanziale della norma denunciata, che non attiene alla materia delle garanzie di tutela giurisdizionale. Il rimettente adombra, altresì, un profilo di irragionevolezza, pur non evocando formalmente l’art. 3 Cost., ma tale censura rappresenta un mero argomento teso a supportare la denunciata violazione dell’art. 24 Cost.».
Ordinanza n. 420 del 5 dicembre 2007, presidente Bile, relatore Finocchiaro.
[2] Natta-Pozzi, «La locazione di immobili ad uso non abitativo», Rimini, 2005, 352-357, secondo cui, però, «dal tenore letterale della norma citata, sembra che questa trovi applicazione solo per i contratti di locazione e di comodato, con esclusione del contratto di affitto, visto che quest’ultimo ha per oggetto a norma dell’art. 1615 del c.c., il godimento di una cosa produttiva mobile o immobile, e non l’unità immobiliare. Per unità immobiliare si intende qualsiasi tipologia di edificio, abitativo e non abitativo, ma non anche gli immobili che non siano edifici, quindi la norma non interessa i terreni»; Capolupo, Riviste le norme per i redditi di fabbricati, in Fisco, 2004, 43, 7233 ss.; contra, Scripelliti, Ganasce fiscali sulle locazioni non registrate: prime considerazioni su una nuova ipotesi di nullità, in Arch. loc., 2005, 111-114, secondo cui «una ipotesi ricostruttiva della norma espressa dal comma 346 deve intanto prescindere dal nomen juris (nullità), attribuendo piuttosto alla registrazione (rectius, richiesta di registrazione) il valore di fatto che integra e completa il procedimento (stipulazione e registrazione) che conduce al contratto, che così produrrà i suoi effetti tra le parti acquistando efficacia solo al momento del perfezionamento di quella che ora viene a configurarsi come una fattispecie contrattuale a formazione progressiva, e in deroga al principio di cui all’art. 1326 c.c., secondo il quale “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte” [...]. Se, dunque, si chiamano le cose con il loro nome e si riconosce che talvolta i nomina juris sono meri accidenti e non sostanza, si può convenire che il legislatore del comma 346 ha denominato nullità non una situazione patologica del negozio e nemmeno la perdita di efficacia del negozio quale sanzione per un inadempimento tributario [...], ma piuttosto ha inteso prevedere tra i requisiti delcontratto, oltre alla volontà delle parti, l’ulteriore requisito della registrazione, in difetto del quale la locazione di immobili non si perfeziona e non è in grado di produrre effetti».
[3] L’ordinanza è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, edizione straordinaria del 26 aprile 2007.
[4] Si rammenta che l’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 10 del 16 marzo 2005, aveva affermato che la norma in questione produce effetti solo in ambito fiscale. Negli stessi termini la Corte di Cassazione, sez. III, 27 ottobre 2003, n. 16089, in Giust. Civ., 2004, I, 961, aveva affermato che «Va anzitutto chiarito che, secondo la disciplina delle locazioni ad uso di abitazione dettata dallalegge n. 431 del 1998, la mancata registrazione del contratto di locazione non determina nullità». Più recentemente, si veda Cass., sez. II, 28 febbraio 2007, n. 4785, in Ced Cass., nella quale si afferma che «Le pattuizioni contenute in un contratto che siano dirette ad eludere, in tutto o in parte, la normativa fiscale, non implicano di per sé la nullità del contratto stesso, trovando nel sistema tributario le relative sanzioni». Infine, si rammenta la nota sentenza della Corte costituzionale n. 333 del 5 ottobre 2001, con la quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 7 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, che pone quale condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato, adibito ad uso abitativo, la dimostrazione, da parte del locatore, della regolarità della propria posizione fiscale quanto al pagamento dell’imposta di registro sul contratto di locazione, dell’ICI e dell’imposta sui redditi relativa ai canoni. Secondo i giudici delle leggi, infatti, «tale onere, imposto al locatore a pena di improcedibilità dell’azione esecutiva, ha fini esclusivamente fiscali e risulta privo di qualsivoglia connessione con il processo esecutivo e con gli interessi che lo stesso è diretto a realizzare, sicché esso si traduce in una preclusione o in un ostacolo all’esperimento della tutela giurisdizionale, in violazione dell’art. 24 della Costituzione».
Su tali tematiche v. del Federico, Sanzioni improprie ed imposizione tributaria, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale, a cura di Perrone-Berliri, Napoli, 2006, 519 ss.