Edilizia Convenzionata e Agevolata
Quando si possono vendere gli alloggi di edilizia residenziale pubblica agevolata e convenzionata
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L’edilizia residenziale pubblica si divide in tre categorie: edilizia sovvenzionata (realizzata a carico dello Stato), edilizia agevolata (a opera di imprese private, ma con contributi pubblici) e edilizia convenzionata (a opera di imprese private, su aree qualificate urbanisticamente, in seguito a convenzione con il Comune).
L’alienazione degli alloggi di proprietà pubblica è minuziosamente regolata dalla legge, che prevede il diritto di prelazione a favore dell’inquilino. Gli alloggi di edilizia agevolata e convenzionata sono invece di proprietà privata, e la loro vendita o alienazione è consentita solo nel rispetto dei limiti previsti dalla legge e dalle convenzioni. La materia è estremamente complessa, perchè le norme di legge sono state oggetto di numerose modifiche e non sempre sono ben coordinate tra loro, quindi danno adito a interpretazioni diverse, specialmente da parte dei singoli Comuni. Cerchiamo dunque di sintetizzare la disciplina oggi in vigore, anche sulla base del più recente studio del Consiglio Nazionale del Notariato (n. 171-2008/C del 28 marzo 2008). Ricordiamo comunque che quando un alloggio rientra in entrambe le ipotesi (edilizia agevolata e convenzionata), si applicano contemporaneamente le norme che riguardano l’una e l’altra.
Edilizia agevolata
Gli alloggi di edilizia agevolata, nei primi cinque anni dall’assegnazione o dall’acquisto, possono essere alienati o locati, previa autorizzazione della Regione, solo per gravi motivi sopravvenuti, puntualmente documentati (art. 20 della legge n° 179 del 1992). Dopo cinque anni, possono essere liberamente alienati e locati. Se c’è un mutuo agevolato, il contributo è mantenuto a condizione che l’acquirente o il conduttore siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge.
Edilizia convenzionata in proprietà
Per gli alloggi di edilizia convenzionata assegnati in proprietà, una volta la legge prevedeva, a pena di nullità, il divieto di alienazione per dieci anni, e successivamente la possibilità di alienare solo con autorizzazione regionale ai soggetti in possesso di determinati requisiti.
In seguito, però, sono stati abrogati tutti i limiti legali all’alienazione, con effetto dal 15 marzo 1992 (art. 23 della legge n° 179 del 1992, modificato dall’art. 3 della legge n° 85 del 1994). Gli alloggi di edilizia convenzionata assegnati in proprietà possono dunque essere alienati a chiunque, a qualsiasi prezzo, in qualsiasi momento (salva l'applicazione del limite dei cinque anni, se si tratta anche di edilizia agevolata). Non c'è alcun dubbio che in seguito all'abrogazione siano venuti meno anche i vincoli previsti da convenzioni stipulate prima del 15 marzo 1992, come ha espressamente riconosciuto anche la Corte di Cassazione (sentenza 10 novembre 2008, n. 26915). Occorre solo verificare che nella convenzione stipulata tra il Comune e il costruttore non siano stati introdotti limiti ulteriori rispetto a quelli legali, che come tali possono avere solo valore contrattuale, ma potrebbero essere rimasti validi nonostante l’abrogazione dei limiti di legge. L'opinione prevalente in dottrina considera meramente riproduttive delle norme di legge le convenzioni che prevedono limiti sostanzialmente coincidenti con quelli legali, anche se con parole diverse, oltre quelle che riproducono letteralmente le parole del legislatore, e quelle che richiamano semplicemente la legge. Possiamo dunque affermare che le clausole contenute nella convenzione, se ripetitive delle norme di legge abrogate (o chiaramente ispirate da tali norme), non producono alcun effetto dopo l'abrogazione dei limiti legali. Alcuni dubbi si presentano invece quando ci troviamo di fronte a clausole meramente convenzionali, cioè non ripetitive delle vecchie norme di legge abrogate. In questo caso potrebbe trattarsi di semplici divieti contrattuali di alienabilità, che producono effetti solo tra le parti (quelle che hanno firmato la convenzione o sono subentrate nella stessa) e non nei confronti dei terzi, che non possono mai incidere sulla validità del contratto di vendita eventualmente stipulato, cioè non possono in nessun caso determinarne la nullità, e che possono pertanto far sorgere soltanto un obbligo al risarcimento da parte del venditore per l'inadempimento di un impegno assunto nei confronti del Comune (artt. 1218 e 1222 c.c.).
Per le convenzioni stipulate prima del 15 marzo 1992, cioè prima dell'abrogazione dei limiti legali all'alienazione, è difficile trovarsi di fronte a divieti convenzionali, perchè è assai probabile che il Comune, pur utilizzando parole diverse da quelle del legislatore, non volesse rinunciare ad avvalersi delle norme allora in vigore, che gli garantivano una tutela assai superiore a quella di una semplice clausola contrattuale. Ciò non toglie che anche in questo caso le convenzioni debbano essere attentamente esaminate.
Più difficile risulta invece interpretare le clausole, ripetitive delle vecchie norme di legge abrogate, ma riportate nelle convenzioni stipulate dopo il 15 marzo 1992. Dopo tale data, infatti, queste clausole non avrebbero più dovuto essere inserite nelle convenzioni, ma alcuni Comuni hanno continuato a farlo, in parte per inerzia o mancata conoscenza dell'avvenuta abrogazione, e in parte per una precisa volontà "politica" di mantenere tali divieti, anche contro la volontà del legislatore nazionale. In questo caso, dal punto di vista legale, non si può fare a meno di prendere atto della presenza di una clausola contrattuale (quale che sia la ragione della sua presenza), una clausola che produce i suoi effetti, anche se soltanto sul piano contrattuale, quindi senza che la sua violazione possa determinare la nullità della vendita dell'immobile, ma solo un risarcimento da parte del venditore nei confronti del Comune. La dottrina, peraltro, ha avanzato dei dubbi anche sulla validità di clausole contrattuali contenenti un divieto di alienazione con una durata troppo lunga (venti o trent'anni), perchè il codice civile impone che il divieto convenzionale di alienazione sia contenuto entro convenienti limiti di tempo e risponda a un apprezzabile interesse di una delle parti (art. 1379 c.c.).
Edilizia convenzionata in diritto di superficie
Parzialmente diverso è il discorso per gli alloggi di edilizia convenzionata assegnati in diritto di superficie, perché per essi mancava una specifica disciplina legislativa. Le convenzioni di solito riproducevano i limiti legali previsti per l’assegnazione in proprietà, ma non tutti sono d'accordo a considerarle semplici ripetizioni delle norme di legge successivamente abrogate. C’è chi ritiene che l’alienazione sia comunque libera, quando i limiti della convenzione sono gli stessi della legge abrogata. Sembra invece più prudente considerare ancora validi i limiti previsti nelle convenzioni, pur tenendo presente che anche in questo caso si tratta di semplici divieti contrattuali di alienabilità, che producono effetti solo tra le parti (quelle che hanno firmato la convenzione o sono subentrate nella stessa) e non nei confronti dei terzi, che non possono mai incidere sulla validità del contratto di vendita eventualmente stipulato, cioè non possono in nessun caso determinarne la nullità, e che possono pertanto far sorgere soltanto un obbligo al risarcimento da parte del venditore per l'inadempimento di un impegno assunto nei confronti del Comune.
Ciò che può essere alienata, ovviamente, è solo la proprietà superficiaria dell’appartamento. Ricordiamo infatti che il diritto di superficie comporta per il titolare la proprietà temporanea dell’edificio costruito, ma non del suolo. Il proprietario del singolo appartamento, dunque, non è comproprietario dell’area su cui sorge la costruzione, area che resta di proprietà del Comune concedente. Allo scadere del termine previsto nella convenzione stipulata tra il Comune e il costruttore, il Comune riacquista la automaticamente la proprietà dell’intero edificio, e quindi anche dei singoli appartamenti. Il termine è molto lungo, di solito di 99 anni, quindi sicuramente superiore alla vita degli attuali proprietari degli appartamenti, e presumibilmente superiore alla durata della stessa costruzione. Comunque, bisogna tenere presente che con l’avvicinarsi del termine di scadenza del diritto di superficie, il valore dell’appartamento diminuisce progressivamente.
In molti casi i Comuni hanno proposto ai proprietari degli alloggi di "trasformare" il diritto di superficie in piena proprietà, stipulando una nuova convenzione. Se ciò avviene, la successiva alienazione degli alloggi è regolata dalle clausole contenute nella nuova convenzione. Anche in questo caso, naturalmente, gli eventuali limiti all'alienazione rappresentano semplici accordi contrattuali, che non possono mai determinare la nullità della vendita eventualmente stipulata in loro violazione, ma solo un risarcimento da parte del venditore nei confronti del Comune.
Paolo Tonalini - Notaio
HO trovato questo , nella mia piu totale ignoranza non so se puo essere utile
Quando si possono vendere gli alloggi di edilizia residenziale pubblica agevolata e convenzionata
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L’edilizia residenziale pubblica si divide in tre categorie: edilizia sovvenzionata (realizzata a carico dello Stato), edilizia agevolata (a opera di imprese private, ma con contributi pubblici) e edilizia convenzionata (a opera di imprese private, su aree qualificate urbanisticamente, in seguito a convenzione con il Comune).
L’alienazione degli alloggi di proprietà pubblica è minuziosamente regolata dalla legge, che prevede il diritto di prelazione a favore dell’inquilino. Gli alloggi di edilizia agevolata e convenzionata sono invece di proprietà privata, e la loro vendita o alienazione è consentita solo nel rispetto dei limiti previsti dalla legge e dalle convenzioni. La materia è estremamente complessa, perchè le norme di legge sono state oggetto di numerose modifiche e non sempre sono ben coordinate tra loro, quindi danno adito a interpretazioni diverse, specialmente da parte dei singoli Comuni. Cerchiamo dunque di sintetizzare la disciplina oggi in vigore, anche sulla base del più recente studio del Consiglio Nazionale del Notariato (n. 171-2008/C del 28 marzo 2008). Ricordiamo comunque che quando un alloggio rientra in entrambe le ipotesi (edilizia agevolata e convenzionata), si applicano contemporaneamente le norme che riguardano l’una e l’altra.
Edilizia agevolata
Gli alloggi di edilizia agevolata, nei primi cinque anni dall’assegnazione o dall’acquisto, possono essere alienati o locati, previa autorizzazione della Regione, solo per gravi motivi sopravvenuti, puntualmente documentati (art. 20 della legge n° 179 del 1992). Dopo cinque anni, possono essere liberamente alienati e locati. Se c’è un mutuo agevolato, il contributo è mantenuto a condizione che l’acquirente o il conduttore siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge.
Edilizia convenzionata in proprietà
Per gli alloggi di edilizia convenzionata assegnati in proprietà, una volta la legge prevedeva, a pena di nullità, il divieto di alienazione per dieci anni, e successivamente la possibilità di alienare solo con autorizzazione regionale ai soggetti in possesso di determinati requisiti.
In seguito, però, sono stati abrogati tutti i limiti legali all’alienazione, con effetto dal 15 marzo 1992 (art. 23 della legge n° 179 del 1992, modificato dall’art. 3 della legge n° 85 del 1994). Gli alloggi di edilizia convenzionata assegnati in proprietà possono dunque essere alienati a chiunque, a qualsiasi prezzo, in qualsiasi momento (salva l'applicazione del limite dei cinque anni, se si tratta anche di edilizia agevolata). Non c'è alcun dubbio che in seguito all'abrogazione siano venuti meno anche i vincoli previsti da convenzioni stipulate prima del 15 marzo 1992, come ha espressamente riconosciuto anche la Corte di Cassazione (sentenza 10 novembre 2008, n. 26915). Occorre solo verificare che nella convenzione stipulata tra il Comune e il costruttore non siano stati introdotti limiti ulteriori rispetto a quelli legali, che come tali possono avere solo valore contrattuale, ma potrebbero essere rimasti validi nonostante l’abrogazione dei limiti di legge. L'opinione prevalente in dottrina considera meramente riproduttive delle norme di legge le convenzioni che prevedono limiti sostanzialmente coincidenti con quelli legali, anche se con parole diverse, oltre quelle che riproducono letteralmente le parole del legislatore, e quelle che richiamano semplicemente la legge. Possiamo dunque affermare che le clausole contenute nella convenzione, se ripetitive delle norme di legge abrogate (o chiaramente ispirate da tali norme), non producono alcun effetto dopo l'abrogazione dei limiti legali. Alcuni dubbi si presentano invece quando ci troviamo di fronte a clausole meramente convenzionali, cioè non ripetitive delle vecchie norme di legge abrogate. In questo caso potrebbe trattarsi di semplici divieti contrattuali di alienabilità, che producono effetti solo tra le parti (quelle che hanno firmato la convenzione o sono subentrate nella stessa) e non nei confronti dei terzi, che non possono mai incidere sulla validità del contratto di vendita eventualmente stipulato, cioè non possono in nessun caso determinarne la nullità, e che possono pertanto far sorgere soltanto un obbligo al risarcimento da parte del venditore per l'inadempimento di un impegno assunto nei confronti del Comune (artt. 1218 e 1222 c.c.).
Per le convenzioni stipulate prima del 15 marzo 1992, cioè prima dell'abrogazione dei limiti legali all'alienazione, è difficile trovarsi di fronte a divieti convenzionali, perchè è assai probabile che il Comune, pur utilizzando parole diverse da quelle del legislatore, non volesse rinunciare ad avvalersi delle norme allora in vigore, che gli garantivano una tutela assai superiore a quella di una semplice clausola contrattuale. Ciò non toglie che anche in questo caso le convenzioni debbano essere attentamente esaminate.
Più difficile risulta invece interpretare le clausole, ripetitive delle vecchie norme di legge abrogate, ma riportate nelle convenzioni stipulate dopo il 15 marzo 1992. Dopo tale data, infatti, queste clausole non avrebbero più dovuto essere inserite nelle convenzioni, ma alcuni Comuni hanno continuato a farlo, in parte per inerzia o mancata conoscenza dell'avvenuta abrogazione, e in parte per una precisa volontà "politica" di mantenere tali divieti, anche contro la volontà del legislatore nazionale. In questo caso, dal punto di vista legale, non si può fare a meno di prendere atto della presenza di una clausola contrattuale (quale che sia la ragione della sua presenza), una clausola che produce i suoi effetti, anche se soltanto sul piano contrattuale, quindi senza che la sua violazione possa determinare la nullità della vendita dell'immobile, ma solo un risarcimento da parte del venditore nei confronti del Comune. La dottrina, peraltro, ha avanzato dei dubbi anche sulla validità di clausole contrattuali contenenti un divieto di alienazione con una durata troppo lunga (venti o trent'anni), perchè il codice civile impone che il divieto convenzionale di alienazione sia contenuto entro convenienti limiti di tempo e risponda a un apprezzabile interesse di una delle parti (art. 1379 c.c.).
Edilizia convenzionata in diritto di superficie
Parzialmente diverso è il discorso per gli alloggi di edilizia convenzionata assegnati in diritto di superficie, perché per essi mancava una specifica disciplina legislativa. Le convenzioni di solito riproducevano i limiti legali previsti per l’assegnazione in proprietà, ma non tutti sono d'accordo a considerarle semplici ripetizioni delle norme di legge successivamente abrogate. C’è chi ritiene che l’alienazione sia comunque libera, quando i limiti della convenzione sono gli stessi della legge abrogata. Sembra invece più prudente considerare ancora validi i limiti previsti nelle convenzioni, pur tenendo presente che anche in questo caso si tratta di semplici divieti contrattuali di alienabilità, che producono effetti solo tra le parti (quelle che hanno firmato la convenzione o sono subentrate nella stessa) e non nei confronti dei terzi, che non possono mai incidere sulla validità del contratto di vendita eventualmente stipulato, cioè non possono in nessun caso determinarne la nullità, e che possono pertanto far sorgere soltanto un obbligo al risarcimento da parte del venditore per l'inadempimento di un impegno assunto nei confronti del Comune.
Ciò che può essere alienata, ovviamente, è solo la proprietà superficiaria dell’appartamento. Ricordiamo infatti che il diritto di superficie comporta per il titolare la proprietà temporanea dell’edificio costruito, ma non del suolo. Il proprietario del singolo appartamento, dunque, non è comproprietario dell’area su cui sorge la costruzione, area che resta di proprietà del Comune concedente. Allo scadere del termine previsto nella convenzione stipulata tra il Comune e il costruttore, il Comune riacquista la automaticamente la proprietà dell’intero edificio, e quindi anche dei singoli appartamenti. Il termine è molto lungo, di solito di 99 anni, quindi sicuramente superiore alla vita degli attuali proprietari degli appartamenti, e presumibilmente superiore alla durata della stessa costruzione. Comunque, bisogna tenere presente che con l’avvicinarsi del termine di scadenza del diritto di superficie, il valore dell’appartamento diminuisce progressivamente.
In molti casi i Comuni hanno proposto ai proprietari degli alloggi di "trasformare" il diritto di superficie in piena proprietà, stipulando una nuova convenzione. Se ciò avviene, la successiva alienazione degli alloggi è regolata dalle clausole contenute nella nuova convenzione. Anche in questo caso, naturalmente, gli eventuali limiti all'alienazione rappresentano semplici accordi contrattuali, che non possono mai determinare la nullità della vendita eventualmente stipulata in loro violazione, ma solo un risarcimento da parte del venditore nei confronti del Comune.
Paolo Tonalini - Notaio
HO trovato questo , nella mia piu totale ignoranza non so se puo essere utile