La regolamentazione del settore è demandata alle singole Regioni (il codice civile tace in proposito): la Regione Lazio (l’OP scrive da Roma) inquadra i b&b come strutture ricettive extralberghiere, a conduzione imprenditoriale oppure non imprenditoriale, che forniscono alloggio e prima colazione utilizzando stanze (max 3) poste all’interno di abitazioni private (tutte le categorie A, tranne A6, A9, A10, A11), munite di determinati standard e requisiti minimi.
Il titolare di un b&b a Roma è obbligato ad avere la residenza nell’immobile, riservando una camera per sé e non è tenuto a rispettare un periodo di inattività di durata obbligatoria.
Salvo un espresso veto contenuto nel regolamento contrattuale dello stabile oppure oggetto di una delibera assembleare assunta con il consenso di tutti i condomini e poi trascritta nei registri immobiliari di svolgere un’attività riconducibile ad un b&b (ad es. pensione, locanda, affittacamere) e salvo ondivaghe interpretazioni e repentini mutamenti di rotta da parte della Cassazione che nel tempo, anche recente, non sono mancate, il via libera è immediato: lo statuto regionale che disciplina le attività ricettive extralberghiere non prevede che il Comune debba accertare il consenso del condominio, ma prevede soltanto l’obbligo di allegare alla SCIA copia della comunicazione dell’avvio dell’attività da inoltrare all’amministrazione condominiale con le modalità previste sulla SCIA.
L’attività di b&b non comporta un utilizzo dell’immobile diverso da quello delle altre civili abitazioni, anzi, ne costituisce il presupposto necessario per poterla svolgere, e non può ritenersi automaticamente lesivo per gli altri condomini, salvo la prova concreta di un pregiudizio grave ed irreparabile alla tranquillità, alla quiete e alla sicurezza degli altri condomini (concetti in genere richiamati nei regolamenti condominiali), tanto più se il gestore mantiene una residenza solo di facciata e non tiene sotto controllo il turnover e le condotte dei clienti.