il sottotetto non viene nominato dal codice civile e quindi non è applicabile automaticamente a esso la presunzione di proprietà comune prevista dall’art. 1117 cod. civ. Per questo motivo, in difetto di elementi contrari desumibili dal titolo, per stabilire a chi appartiene il sottotetto, diventa necessario accertare la funzione svolta dal sottotetto nel caso specificamente esaminato.
E quindi, se il sottotetto assolve solo una funzione isolante e protettiva del piano più elevato del fabbricato, allora si considera una pertinenza di quest’ultimo (Cass., n. 1106 del 14 febbraio 1980; n. 6206 del 16 novembre 1988; n. 5854 del 23 maggio 1991; n. 6640 del 15 giugno 1993; n. 9788 del 9 ottobre 1997; n. 11488 del 19 novembre 1997). Di regola, infatti, il sottotetto assolve una funzione isolante protettiva (dal caldo e dal freddo) del piano più elevato (Cass., n. 8040 dell’8 agosto 1990). In tal caso il sottotetto si pone in rapporto di dipendenza con i vani che protegge e non può essere separato da questi ultimi, senza alterare il rapporto di complementarità dell’insieme e, di conseguenza, non essendo il sottotetto idoneo a essere utilizzato separatamente dall’alloggio sottostante cui accede, non è configurabile il possesso a usucapionem dello stesso da parte del proprietario di altra unità immobiliare (Cass., n. 4970 dell’8 agosto 1986). In ogni caso, il condomino che è proprietario esclusivo del sottotetto non può, trasformando il sottotetto in civile abitazione, allacciarlo ai servizi comuni del condominio senza prima richiedere e ottenere il consenso di tutti gli altri condomini (Trib. Torino, 22 ottobre 1979).
Il sottotetto si considera, invece, di proprietà comune nel caso in cui, pur essendo suscettibile di uso come vano autonomo, mostri caratteristiche strutturali e funzionali tali da essere, sia pure in modo solo potenziale, oggettivamente destinato all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (Cass., n. 2090 del 5 aprile 1982; n. 2824 del 22 aprile 1986; n. 2722 del 18 marzo 1987; n. 5668 del 18 ottobre 1988; n. 11771 del 29 ottobre 1992; n. 1303 del 7 febbraio 1998; n. 4266 del 28 aprile 1999; n. 7764 del 20 luglio 1999; n. 13555 del 4 dicembre 1999; n. 6027 dell’11 maggio 2000).
Una specifica ipotesi nella quale il sottotetto realizza una funzione diversa dalla mera camera d’aria e, quindi, è destinato all’uso comune di tutti i condomini è stata riscontrata nel caso in cui esso sia dotato di una comunicazione diretta con il vano scale comune e di un lucernario per l’accesso al tetto comune, dato che tale destinazione costituisce il fatto noto ex art. 2727 cod. civ. posto dalla legge a base della presunzione di comunione ex art. 1117 cod. civ. (Cass., n. 4509 del 15 maggio 1996); analogamente è stato deciso per il caso in cui il sottotetto sia accessibile da botole poste nel vano delle scale condominiali e al suo interno passino le tubazioni dei servizi condominiali (Trib. Pavia, 29 ottobre 1994).
La sent. n. 8968/2002 della Corte di Cassazione
Questi principi sono stati nuovamente ribaditi e confermati da una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 8968 del 20 giugno 2002, a pag. 2469) la quale, dopo avere affermato che il sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, ha precisato che in questo secondo caso l’appartenenza del bene va determinata in base al titolo e che, in mancanza o nel silenzio del titolo stesso, non essendo il sottotetto compreso nel novero delle parti comuni dell’edificio essenziali per la sua esistenza o necessarie all’uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117, n. 1, cod. civ. può essere applicata soltanto nel caso in cui il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulta destinato oggettivamente, sia pure in via potenziale, all’uso comune oppure all’esercizio di un servizio di interesse condominiale.
Nel caso concretamente esaminato, dalla descrizione dei luoghi contenuta nella relazione del consulente tecnico d’ufficio risultava che la struttura del vano in questione era costituita da ampi spazi posti tra le volte dell’edificio e il tetto, muniti di finestre per aria e luce e di volume considerevole e quindi aveva caratteristiche peculiari che ne permettevano l’utilizzazione come vano autonomo. I giudici di merito avevano quindi indirizzato la propria indagine sui titoli di provenienza delle unità immobiliari costituenti porzioni dell’edificio condominiale al fine di verificare se i sottotetti in questione fossero contemplati in qualcuno dei titoli di provenienza delle unità immobiliari facenti parte dell’edificio condominiale e in particolare se avesse formato oggetto della vendita delle unità immobiliari acquistate dai condomini che rivendicavano la proprietà esclusiva del sottotetto. E la Cassazione ha osservato che, infatti, soltanto dopo avere escluso l’appartenenza in via esclusiva del sottotetto in capo a qualcuno dei condomini, il giudice di merito deve procedere ad accertare se in concreto il sottotetto fosse destinato strutturalmente, anche solo in potenza, a un servizio o a un uso comune; e che se invece i titoli di provenienza della proprietà bastano a dimostrare che qualche condomino è proprietario esclusivo del sottotetto contestato, non è necessaria alcuna indagine sulla sua concreta attitudine a soddisfare bisogni e necessità pertinenti a tutta la collettività condominiale per effetto delle sue caratteristiche obiettive.