Pardon, abbiamo scritto lo stesso concetto.
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Intanto grazie a tutti per le risposte, se ancora qualcuno ha qualcosa da dire ben venga...
A mio avviso qui non si discute di liceità o di buona fede o del fatto che il conduttore, poiché ha sottoscritto tale clausola, è obbligato a rispettarla, qui si discute della validità di una tale pattuizione.
Una clausola di questo tipo è valida solo in un contratto abitativo a canone libero (dove non ho un testo contrattuale predefinito depositato in Comune), se così contrattualmente pattuito dalle parti in deroga all’articolo 1590 cod. civ. (Restituzione della cosa locata), perché se il tuo contratto è un 3+2/ transitorio/per studenti universitari nessuna organizzazione di categoria dei proprietari e degli inquilini convaliderebbe mai una simile clausola perché nei contratti convenzionati non sono ammesse deroghe concordate alle disposizioni ministeriali: il testo contrattuale deve rispecchiare fedelmente il testo allegato al dm 30 dicembre 2002.
In un 3+2 non è possibile derogare dalla previsione dell’articolo 9 (Consegna) che riprende appunto il 1590: “il conduttore si impegna a riconsegnare l’unità immobiliare nello stato in cui l’ha ricevuta, salvo il deperimento d’uso, pena il risarcimento del danno”. Pertanto, in un concordato è il locatore che ripristina la tinteggiatura originaria perché non è possibile inserire in calce all’articolo 15 titolato “Varie” pattuizioni aggiunte di natura derogatoria alle disposizioni ministeriali, imponendo coattivamente al conduttore di eliminare le cause del deterioramento dovuto all’uso al termine della locazione (tra l’altro affidandosi a terzi scelti appositamente dal locatore), di fatto azzerando il rischio della normale usura delle pareti e dei soffitti per i quali il conduttore paga già un canone legale calmierato.
Quindi secondo lei se il contratto è libero 4 + 4 come il mio, tale clausola è lecita cioè non è vessatoria?
Nelle locazioni abitative cosiddette “libere”, con durata di quattro anni più quattro, non esiste uno schema blindato, i patti sono rimessi alla libera determinazione delle parti. Qui non esiste un contratto-tipo predefinito a livello centrale, i cui contenuti sono recepiti a livello periferico dalle organizzazioni di categoria e depositato in Comune, come non esiste un contratto calmierato dalla legge.
E così, per esempio, è legittimo prevedere che tutte le spese di manutenzione necessarie per mantenere l’immobile locato restino a carico dell’inquilino, anche quelle che per legge dovrebbero invece essere sopportate dal locatore.
Allo stesso modo, al momento dell’intesa è legittimo pattuire che il deterioramento dovuto all’uso non esoneri l’inquilino dal ripristinare il bene nello stato iniziale: il 1590 non è norma inderogabile, come altre del resto (1576, 1609, 1584 ecc.). La clausola sicuramente non è vessatoria. Il problema semmai è se la clausola è nulla.
Per quanto riguarda i contratti a canone libero, la questione è problematica e dibattuta in quanto va risolta attraverso la precisa portata del nuovo testo dell’art.13, co.4 della legge 431 che ora vieta per i contratti stipulati in base al co.1 dell’art.2 “qualsiasi pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito” (nella nuova formulazione prevista dalla Legge di Stabilità 2016 sono scomparsi dal testo tutti gli obblighi a carico del conduttore nonchè le clausole o vantaggi economici e normativi a favore del locatore diretti ad attribuirgli un canone superiore a quello contrattualmente stabilito).
E’ indubbio che la clausola della ritinteggiatura finale o le spese di straordinaria manutenzione e via dicendo addossate all’inquilino hanno un’evidente natura patrimoniale, in quanto comportano un vantaggio economico, sia pure indiretto, al locatore, esonerandolo dall’affrontare tutta una serie di spese cui invece sarebbe tenuto. Il vantaggio del locatore è del tutto evidente, ma tali clausole, secondo dottrina, non sono affette da nullità in quanto non incidono sul canone “contrattualmente stabilito”, determinandone un aumento rispetto a quello pattuito.
La liceità di tali pattuizioni risiede nel fatto che esse costituiscono una componente essenziale, al pari del canone, di quel particolarissimo negozio caratterizzato da prestazioni corrispettive reciproche chiamato LOCAZIONE (io ti consegno dei locali perché tu possa goderne l’uso, e tu, in cambio, mi versi una determinata somma annua), e, di conseguenza, essendo la misura del canone lasciata alla libera disponibilità delle parti, se convenute in un contatto abitativo “libero” (non presidiato dall’art.79 della legge 392) non sono affette da nullità.
Tuttavia, va ricordato che la giurisprudenza si è posta ultimamente in direzione opposta alla dottrina e ritiene superflua e superata la distinzione con le locazioni non abitative, reputando che clausole che addossino all’inquilino obblighi di tale natura, spettanti al locatore, siano nulle: che il canone sia determinato dalle parti (nelle locazioni abitative “libere” e nelle locazioni non abitative) o dalla legge (nelle locazioni convenzionate) è del tutto ininfluente, in quanto non invalida minimamente quella che è la ragione dello scambio tra la prestazione di godimento assunta dal locatore e la controprestazione del conduttore che sorgono dal contratto di locazione.
Ogni beneficio economico patrimoniale convenuto a favore del locatore si considera come integrativo del canone, in quanto incide sul suo ammontare e, quindi, del corrispettivo della locazione e il corrispettivo per il godimento del bene è costituito dal canone e non da altre voci che, in maniera più o meno larvata, vanno ad alterare la corrispettività tra le due prestazioni.
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