Le perizie calligrafiche quale strumento probatorio sono alquanto opinabili e vanno interpretate dal giudice il quale soltanto è "peritus peritorum".
Dal Massimario della Giurisprudenza della Cassazione cito,fra le altre: Cass., sez. lav., 20 maggio 2004 n. 9631, in parte motiva: «Nel procedimento di verificazione della scrittura privata, il giudice del merito, ancorché abbia disposto una consulenza grafica sull'autografia d'una scrittura disconosciuta, ha il potere - dovere di formare il proprio convincimento sulla base d'ogni altro elemento di prova obiettivamente conferente, comprese le risultanze della prova testimoniale, senza essere vincolato ad alcuna graduatoria fra le varie fonti di accertamento della verità . . . In relazione a questo particolare elemento probatorio è da osservarsi che, anche se ogni umano aspetto della persona è oggettivamente irripetibile (e di alcuni - come le impronte digitali, i lineamenti del volto, le vibrazioni della voce, e la stessa iride - esaminati e differenziati da sofisticati strumenti, l'attuale tecnologia può affermare - o negare - con certezza l'appartenenza ad una specifica persona), ed è tale anche la forma della scrittura (e questa irripetibilità ne giustifica la comparazione), tuttavia la verifica dell'irripetibilità di questo particolare aspetto, fondata sulla - pur pregevole - umana valutazione recata da una consulenza grafologica, inevitabilmente affidata ad elementi (svolazzi, pressioni, curve, lunghezze, altezze) allo stato non matematicamente ponderabili, assume, oggettivamente, un rilievo probatorio di ben limitata consistenza».
Il giudicato è molto esaustivo sul punto:"rilievo probatorio di ben limitata consistenza"!
Il comportamento del giudicante pertanto dev'essere quello di un atteggiamento valutativo alquanto rigoroso.
In sintesi nel processuale tali elaborati non possono certo rivestire il ruolo di "prova regina" ed inattaccabile.
Gatta