La videosorveglianza del lavoratore svolta dal datore di lavoro in violazione delle modalità indicate dalla Direzione Territoriale del Lavoro e in assenza di accordi con le rappresentanze sindacali è illegittima e costituisce reato a carico di chi l'ha attuata.
Recentissima la decisione della III sezione penale della Corte di Cassazione, sentenza n. 45198 del 26 ottobre 2016.
Il Tribunale di Ascoli Piceno aveva condannato le amministratrici di una S.R.L. alla pena euro 1.000,00 di ammenda per il reato di cui agli artt. 4, commi 2 e 3, e 38 Legge 300/70 e 114 D.lgs. 196/2003, per avere, quali amministratrici della S.r.l. X, esercente il night club Z, installato e posto in funzione nei locali di tale club impianti ed apparecchiature audiovisive dalle quali era possibile controllare a distanza l'attività dei lavoratori dipendenti, in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali e con la commissione interna e senza osservare le modalità indicate dalla locale Direzione Territoriale del lavoro.
La controversia giungeva in Cassazione.
Lo Statuto dei lavoratori vieta espressamente l'uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti che consentano il controllo a distanza dei lavoratori, permettendone l'installazione, se richiesti da esigenze organizzative e produttive o di sicurezza del lavoro e tutela del patrimonio aziendale, solamente previo accordo con le rappresentanze sindacali unitarie o con quelle aziendali, o, in mancanza di accordo, previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro.
La disposizione, tuttora vigente, pur non trovando più sanzione nell'art. 38, comma 1, della medesima Legge 300 del 1970, a seguito della soppressione del riferimento all'art. 4 nel suddetto art. 38, comma 1, da parte dell'art. 179 d.lgs. 196 del 2003 prevede una condotta criminosa rappresentata dalla installazione di impianti audiovisivi idonei a ledere la riservatezza dei lavoratori, qualora non vi sia stato consenso sindacale o autorizzazione scritta di tutti i lavoratori interessati o il permesso dall'Ispettorato del lavoro.
Si tratta di un reato di pericolo, essendo diretto a salvaguardare le possibili lesioni della riservatezza dei lavoratori, con la conseguenza che per la sua integrazione è sufficiente la mera predisposizione di apparecchiature idonee a controllare a distanza l'attività dei lavoratori, in quanto per la punibilità non è richiesta la messa in funzione o il concreto utilizzo delle attrezzature, essendo sufficiente l'idoneità ai controllo a distanza dei lavoratori e la sola installazione dell'impianto.
Ne consegue, secondo la Corte, la manifesta infondatezza della censura relativa al mancato accertamento della funzionalità delle telecamere di cui è stata accertata l'installazione all'interno dei locale notturno gestito dalla società amministrata dalle ricorrenti (con la precisazione del loro collegamento ad un monitor posto in una stanza attigua a quella nella quale si svolgevano gli spettacoli), non essendo necessaria la messa in funzione od il concreto utilizzo delle apparecchiature di controllo a distanza, essendo sufficiente, al fine della configurazione dei reato in esame, la loro predisposizione e la funzionalità ed idoneità al controllo a distanza dei lavoratori.
Le censure in ordine al numero di telecamere installate, di cui alcuni dei testi escussi non avrebbero indicato il numero e la posizione (indicati dal teste funzionario della Direzione territoriale del lavoro, che ha riferito di più telecamere installate nei vari angoli del locale e del loro collegamento al monitor posto in un locale attiguo a quello principale nel quale erano posizionale le telecamere) attengono all'accertamento dello stato dei luoghi compiuto dal giudice del merito, non sindacabile, in mancanza di vizi della motivazione, non specificamente indicati e comunque non sussistenti, nel giudizio di legittimità.
Pertanto i ricorsi sono stati respinti ed è stata confermata la condanna delle amministratrici della S.R.L.
studiolegaledevaleri@gmail.com
Recentissima la decisione della III sezione penale della Corte di Cassazione, sentenza n. 45198 del 26 ottobre 2016.
Il Tribunale di Ascoli Piceno aveva condannato le amministratrici di una S.R.L. alla pena euro 1.000,00 di ammenda per il reato di cui agli artt. 4, commi 2 e 3, e 38 Legge 300/70 e 114 D.lgs. 196/2003, per avere, quali amministratrici della S.r.l. X, esercente il night club Z, installato e posto in funzione nei locali di tale club impianti ed apparecchiature audiovisive dalle quali era possibile controllare a distanza l'attività dei lavoratori dipendenti, in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali e con la commissione interna e senza osservare le modalità indicate dalla locale Direzione Territoriale del lavoro.
La controversia giungeva in Cassazione.
Lo Statuto dei lavoratori vieta espressamente l'uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti che consentano il controllo a distanza dei lavoratori, permettendone l'installazione, se richiesti da esigenze organizzative e produttive o di sicurezza del lavoro e tutela del patrimonio aziendale, solamente previo accordo con le rappresentanze sindacali unitarie o con quelle aziendali, o, in mancanza di accordo, previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro.
La disposizione, tuttora vigente, pur non trovando più sanzione nell'art. 38, comma 1, della medesima Legge 300 del 1970, a seguito della soppressione del riferimento all'art. 4 nel suddetto art. 38, comma 1, da parte dell'art. 179 d.lgs. 196 del 2003 prevede una condotta criminosa rappresentata dalla installazione di impianti audiovisivi idonei a ledere la riservatezza dei lavoratori, qualora non vi sia stato consenso sindacale o autorizzazione scritta di tutti i lavoratori interessati o il permesso dall'Ispettorato del lavoro.
Si tratta di un reato di pericolo, essendo diretto a salvaguardare le possibili lesioni della riservatezza dei lavoratori, con la conseguenza che per la sua integrazione è sufficiente la mera predisposizione di apparecchiature idonee a controllare a distanza l'attività dei lavoratori, in quanto per la punibilità non è richiesta la messa in funzione o il concreto utilizzo delle attrezzature, essendo sufficiente l'idoneità ai controllo a distanza dei lavoratori e la sola installazione dell'impianto.
Ne consegue, secondo la Corte, la manifesta infondatezza della censura relativa al mancato accertamento della funzionalità delle telecamere di cui è stata accertata l'installazione all'interno dei locale notturno gestito dalla società amministrata dalle ricorrenti (con la precisazione del loro collegamento ad un monitor posto in una stanza attigua a quella nella quale si svolgevano gli spettacoli), non essendo necessaria la messa in funzione od il concreto utilizzo delle apparecchiature di controllo a distanza, essendo sufficiente, al fine della configurazione dei reato in esame, la loro predisposizione e la funzionalità ed idoneità al controllo a distanza dei lavoratori.
Le censure in ordine al numero di telecamere installate, di cui alcuni dei testi escussi non avrebbero indicato il numero e la posizione (indicati dal teste funzionario della Direzione territoriale del lavoro, che ha riferito di più telecamere installate nei vari angoli del locale e del loro collegamento al monitor posto in un locale attiguo a quello principale nel quale erano posizionale le telecamere) attengono all'accertamento dello stato dei luoghi compiuto dal giudice del merito, non sindacabile, in mancanza di vizi della motivazione, non specificamente indicati e comunque non sussistenti, nel giudizio di legittimità.
Pertanto i ricorsi sono stati respinti ed è stata confermata la condanna delle amministratrici della S.R.L.
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