Per quanto riguarda le chiavi, è opportuno scrivere nel contratto di locazione (qualsiasi tipologia si adotti) che il conduttore autorizza il locatore a tenerne una copia.
Per maggior tranquillità si chiudono le chiavi in una busta sigillata, firmata da entrambe le parti, che il locatore custodisce ed è autorizzato ad aprire solo in caso di necessità. Se le usa, dopo si mettono in un'altra busta sigillata e controfirmata.
Questo per evitare che qualche inquilino, più o meno in malafede, possa accusare il locatore di essere entrato nell'immobile senza autorizzazione ed aver preso qualcosa.
Grazie, non ci avevo pensato, farò così per stare più tranquillo.
Per il resto, concordo che le procedure da te adottate, per quanto un po' anomale, sono regolari dal punto di vista civilistico e fiscale.
Tranne che, l'Agenzia delle Entrate, interpreti il mio "modus operandi" come attività imprenditoriale. Per questo motivo conservo tutte le disdette e ne lascio sempre una copia al conduttore da spillare al suo contratto, insieme anche alla liberatoria.
Si spera soltanto che nessuno ti metta i bastoni tra le ruote, come ha scritto @mapeit , segnalando al Comune le anomalie del piccolo monolocale.
Questo è invece un argomento spinoso.
A metà degli anno 80', grazie al primo condono (47/1985), furono concesse numerose sanatorie per piccoli magazzini, posti al piano terra delle caratteristiche fette di casa del centro storico delle città, in quanto trasformati, abusivamente, in abitazioni, quindi perfettamente, da allora, regolari, anche se di metratura inferiore ai 28 metri quadrati.
La Legge permetteva il rilascio "in automatico" del certificato di abitabilità (che autorizzava il locale ad essere abitato) solo se le unità immobiliari regolarizzate, possedevano anche i requisiti minimi igienico sanitari previsti dal Decreto Ministeriale 05 luglio 1975 (superfici, altezze, rapporti aeroilluminanti ecc.).
Il mio monolocale, come tanti altri che ho comprato, si trovano in queste condizioni. Superficie e altezza non suffuicienti e, pertanto, niente certificato.
Il notaio mi ha sempre detto che li potevo tranquillamente affittare, ma che, quando li avrei voluti rivendere, sarebbe stato un po' complicato trovare l'acquirente che accetti la mancanza dell'abitabilità. E' anche vero che il DPR 380 del 2001 (Testo Unico dell'Edilizia), ha abrogato le precedenti normative, ma ha istituito l'agibilità che, nel mio caso, occorre ottenere a seguito di una ristrutturazione oppure un adeguamento di un impianto. Questo documento, dal 2003 in poi, è obbligatorio consegnarlo o garantirlo all'acquirente, pena inadempimento da parte del venditore.
Ritornando al discorso della locazione, a mio parere, e per questo motivo decisi di investire in monolocali di questa tipologia, non sono previste sanzioni per chi adibisce, ad abitazione, un locale privo di tale certificato. Lo Stato, in pratica, dice che i monolocali devono avere determinati requisiti per una sola persona e lo certifica mediante questo documento. Poi, se uno vuole vivere in 10 mq., sono fatti suoi, ma lo Stato deve dire così per forza, anche al fine di tutelare la salute delle persone sancita dalla Costituzione. Casomai, il Comune, in virtù di una normativa del 1934, avrebbe il potere di ordinare lo sgombero di una unità immobiliare, allorquando, in collaborazione con l'AUSL, dichiari lo stesso inagibile (un vicino di casa, per esempio, segnala ai Vigili, che in un appartamento piccolo ci vive una persona con venti cani che fanno i bisogni in casa e c'è puzzo nel condominio.
Detto questo, ho pensato di tutelarmi, facendo inserire, in apposita clausola nel contratto di affitto, firmata due volte, che "
La parte locatrice rende edotta la parte conduttrice, che lo accetta per l'uso che ne deve fare che l'unità immobiliare è sprovvisto del certificato di abitabilità per mancanza dei requisiti minimi disposti dal DM 05 luglio 1975".