Mi capita abbastanza frequentemente di ricevere domande dai clienti sulla eseguibilità di lavori sulle parti di proprietà esclusiva in corrispondenza della proprietà condominiale. Nell'ultima in ordine di tempo, ad esempio, mi si riferisce dell'acquisto di un garage al piano terra con apertura direttamente sulla pubblica via; per problemi logistici visto che l'apertura è un po' stretta la si vorrebbe allargare, con regolare progetto dell'ingegnere e tutti i dovuti permessi del caso; la domanda è: per effettuare questo tipo di intervento c'è bisogno del permesso del condominio o no? In caso affermativo deve esserci l'unanimità o basta solo la maggioranza?
La questione è senz'altro interessante, anche perchè dopo decenni e decenni, passando anche attraverso una legge di riforma della materia, la risposta resta ad oggi ancora incerta.
Ma andiamo per ordine.
Il quesito ha avuto per lungo tempo una soluzione sostanzialmente incerta a causa del conflitto esistente tra due disposizioni del codice civile le quali:
-1) da un lato disponevano che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto e che a tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa (1102 C.C.);
-2) dall'altro lato disponevano che sono vietate le innovazioni le quali comportino lesione al decoro architettonico del fabbricato (1120 C.C.), a meno che queste non vengano approvate all'unanimità.
Il problema sostanziale è che per eseguire i lavori sulle parti di proprietà esclusiva che corrispondessero alle parti comuni (ad esempio l'apertura di un finestra o l'allargamento di una porta sul muro comune in corrispondenza dell'appartamento di proprietà esclusiva del condomino) non era esplicitamente prevista alcun obbligo di comunicazione al condominio (e ne' - tanto meno - di autorizzazione), per cui solo a posteriori il caso veniva eventualmente sottoposto all'attenzione del Giudice allorquando si ritenesse leso il decoro architettonico del fabbricato.
Il problema veniva risolto in genere dai regolamenti di condominio i quali, se di natura contrattuale, quasi sempre contenevano la clausola per cui erano vietati i lavori sulla proprietà esclusiva in corrispondenza di parti di proprietà comune, a meno che i medesimi non fossero autorizzati dall'assemblea di condominio. Si trattava però di una regola che soffriva di molte eccezioni; inoltre - come detto - poteva valere solo ove il regolamento fosse di natura contrattuale in quanto andava ad incidere su un diritto fondamentale del condomino, restringendo il suo diritto di proprietà.
Tale situazione è stata recentemente modificata dall'introduzione della legge di riforma del condominio che ha modificato l'art. 1122 C.C. il quale oggi così dispone:
"Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea".
La normativa attuale è quindi più severa, o almeno così parrebbe; il riferimento al decoro architettonico del fabbricato è oggi esplicitamente esteso anche ai lavori eseguiti sulle parti di proprietà esclusiva, che sono vietati qualora ne rechino pregiudizio; inoltre è previsto un obbligo di comunicazione preventiva all'amministratore.
Il legislatore però non è andato fino in fondo, ed ha lasciato un quadro di sostanziale incertezza; a fronte dell'obbligo di comunicazione, infatti, non è prevista alcuna necessità di approvazione da parte dell'assemblea ne' tanto meno è prevista alcuna sanzione. Il condomino, quindi, una volta adempiuto al dovere di comunicare l'intenzione di effettuare i lavori potrà darvi esecuzione e - ancora una volta - solo successivamente il condominio adirà le vie legali ove ritenga che il decoro architettonico sia stato leso.
Purtroppo questo è un altro chiaro esempio di come la legge di riforma sia stata scritta con i piedi (ci si scusi l'espressione decisamente poco tecnica - specie in un forum a chiara connotazione giuridica - ma fortemente voluta); il problema pluridecennale da risolvere era quello di una evidente schizofrenia tra una norma per la quale è possibile eseguire tali modifiche in piena legittimità e senza nemmeno informare il condominio e l'altra secondo cui per eseguire le stesse modifiche è richiesta addirittura l'unanimità dei consensi. La timidissima introduzione dell'obbligo di informazione preventiva mi pare che risolva ben poco.
La risposta al quesito quindi, oggi come ieri, è sostanzialmente la seguente: se si vuole essere assolutamente sicuri di poter effettuare i lavori bisognerà chiedere (ed ottenere) il consenso dell'assemblea; avendo ben presente però che si sarà assolutamente al sicuro solo in caso di ottenimento dell'unanimità. In alternativa, sarà possibile effettuare la comunicazione all'Amministratore e dare inizio ai lavori, mettendo però nel conto che se pure uno dei condomini ritenga leso il decoro architettonico del fabbricato potrà chiedere il ripristino dello status quo ante, e magari ottenerlo qualora il Giudice ritenga che tale lesione effettivamente vi sia stata.
Avv. Michele D'Auria - Consulenza legale online e on site
La questione è senz'altro interessante, anche perchè dopo decenni e decenni, passando anche attraverso una legge di riforma della materia, la risposta resta ad oggi ancora incerta.
Ma andiamo per ordine.
Il quesito ha avuto per lungo tempo una soluzione sostanzialmente incerta a causa del conflitto esistente tra due disposizioni del codice civile le quali:
-1) da un lato disponevano che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto e che a tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa (1102 C.C.);
-2) dall'altro lato disponevano che sono vietate le innovazioni le quali comportino lesione al decoro architettonico del fabbricato (1120 C.C.), a meno che queste non vengano approvate all'unanimità.
Il problema sostanziale è che per eseguire i lavori sulle parti di proprietà esclusiva che corrispondessero alle parti comuni (ad esempio l'apertura di un finestra o l'allargamento di una porta sul muro comune in corrispondenza dell'appartamento di proprietà esclusiva del condomino) non era esplicitamente prevista alcun obbligo di comunicazione al condominio (e ne' - tanto meno - di autorizzazione), per cui solo a posteriori il caso veniva eventualmente sottoposto all'attenzione del Giudice allorquando si ritenesse leso il decoro architettonico del fabbricato.
Il problema veniva risolto in genere dai regolamenti di condominio i quali, se di natura contrattuale, quasi sempre contenevano la clausola per cui erano vietati i lavori sulla proprietà esclusiva in corrispondenza di parti di proprietà comune, a meno che i medesimi non fossero autorizzati dall'assemblea di condominio. Si trattava però di una regola che soffriva di molte eccezioni; inoltre - come detto - poteva valere solo ove il regolamento fosse di natura contrattuale in quanto andava ad incidere su un diritto fondamentale del condomino, restringendo il suo diritto di proprietà.
Tale situazione è stata recentemente modificata dall'introduzione della legge di riforma del condominio che ha modificato l'art. 1122 C.C. il quale oggi così dispone:
"Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea".
La normativa attuale è quindi più severa, o almeno così parrebbe; il riferimento al decoro architettonico del fabbricato è oggi esplicitamente esteso anche ai lavori eseguiti sulle parti di proprietà esclusiva, che sono vietati qualora ne rechino pregiudizio; inoltre è previsto un obbligo di comunicazione preventiva all'amministratore.
Il legislatore però non è andato fino in fondo, ed ha lasciato un quadro di sostanziale incertezza; a fronte dell'obbligo di comunicazione, infatti, non è prevista alcuna necessità di approvazione da parte dell'assemblea ne' tanto meno è prevista alcuna sanzione. Il condomino, quindi, una volta adempiuto al dovere di comunicare l'intenzione di effettuare i lavori potrà darvi esecuzione e - ancora una volta - solo successivamente il condominio adirà le vie legali ove ritenga che il decoro architettonico sia stato leso.
Purtroppo questo è un altro chiaro esempio di come la legge di riforma sia stata scritta con i piedi (ci si scusi l'espressione decisamente poco tecnica - specie in un forum a chiara connotazione giuridica - ma fortemente voluta); il problema pluridecennale da risolvere era quello di una evidente schizofrenia tra una norma per la quale è possibile eseguire tali modifiche in piena legittimità e senza nemmeno informare il condominio e l'altra secondo cui per eseguire le stesse modifiche è richiesta addirittura l'unanimità dei consensi. La timidissima introduzione dell'obbligo di informazione preventiva mi pare che risolva ben poco.
La risposta al quesito quindi, oggi come ieri, è sostanzialmente la seguente: se si vuole essere assolutamente sicuri di poter effettuare i lavori bisognerà chiedere (ed ottenere) il consenso dell'assemblea; avendo ben presente però che si sarà assolutamente al sicuro solo in caso di ottenimento dell'unanimità. In alternativa, sarà possibile effettuare la comunicazione all'Amministratore e dare inizio ai lavori, mettendo però nel conto che se pure uno dei condomini ritenga leso il decoro architettonico del fabbricato potrà chiedere il ripristino dello status quo ante, e magari ottenerlo qualora il Giudice ritenga che tale lesione effettivamente vi sia stata.
Avv. Michele D'Auria - Consulenza legale online e on site