Copio testualmente senza aggiungere nulla di mio:
La novità
Una grossa novità è, però, contenuta nel Decreto Crescita di recente approvato dal Governo (Dl n. 34/2019): il padrone di casa può evitare di dichiarare i canoni di affitto non percepiti (e quindi può smettere di pagare le tasse su tali importi “virtuali”) sin dal momento della notifica dell’intimazione dello sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento. In questo modo,si è anticipato il momento dell’esclusione dalla dichiarazione dei redditi di tali importi rispetto al passato (in cui si richiedeva l’ordinanza del giudice). Le lungaggini della giustizia non pregiudicheranno il contribuente.
Le indicazioni del Fisco
In base alle indicazioni trasmesse dall’Agenzia delle Entrate a fine luglio, gli uffici territoriali dovrebbero verificare, in contraddittorio con il contribuente (e non invece con i “paraocchi”) la documentazione e gli altri elementi esibiti da quest’ultimo a dimostrazione da cui risulti che questi non ha incassato gli affitti. Così, il padrone di casa che venga raggiunto da una accertamento fiscale, potrà presentare una istanza in autotutela e, in quella sede, dovrà essere chiamato a chiarimenti dall’ufficio che, quindi, gli dovrà dare la possibilità di provare la mancata percezione dei canoni. Ovviamente, in tale sede, il contribuente dovrà procurarsi tutta la documentazione a dimostrazione dell’intervenuta risoluzione del contratto di locazione.
In assenza di specifiche indicazioni tecniche, cerchiamo di comprendere quale tipo di documentazione potrebbe tornare utile.
Sfratto per morosità
Se il contribuente ha incaricato il proprio avvocato di procedere contro l’inquilino moroso, dovrà produrre copia del provvedimento del giudice di convalida di sfratto per morosità: sarà proprio dalla data di emissione di tale decreto di sfratto che si può considerare risolto il contratto di locazione a uso commerciale e, quindi, escludere dalla tassazione i canoni di locazione non percepiti. Tuttavia, come detto, il Decreto Crescita ha anticipato questo momento già alla notifica della citazione per convalida di sfratto: non c’è più bisogno di attendere l’esito del giudizio.
Clausola risolutiva espressa
La cosa più facile da fare è di inserire, nel contratto di locazione, quella che viene detta “clausola risolutiva espressa”. In pratica, con l’inclusione di questa previsione, si stabilisce che, in caso di morosità, il locatore potrà risolvere automaticamente il contratto, senza quindi ricorrere al giudice, semplicemente comunicando all’inquilino una diffida con la quale dichiara di volersi valere della clausola risolutiva.
In questo modo, nel momento in cui il locatore produce documentazione dalla quale risulta che si è avvalso della clausola risolutiva espressa, si può eccepire, davanti all’Agenzia delle Entrate, la risoluzione del contratto. È valida l’esibizione della raccomandata con avviso di ricevimento, in cui il locatore contesta al conduttore l’inadempimento e comunica di avvalersi della clausola risolutiva.
Il locatore deve anche dimostrare che l’immobile è stato effettivamente rilasciato e non è più occupato dal conduttore: l’obbligo di dichiarare il canone di locazione viene meno dalla data del verbale di rilascio, a patto che le giustificazioni del contribuente risultino congiuntamente e sulla base di atti e documenti con data certa.
Termine essenziale con la diffida ad adempiere
Stesso discorso per la clausola che contenga il cosiddetto “termine essenziale” e che funziona pressappoco come la clausola risolutiva espressa: in questo caso il contratto contiene il riconoscimento del diritto, al locatore, in presenza di morosità da parte dell’inquilino, di inviare a quest’ultimo una diffida ad adempiere con l’assegnazione di un termine ultimo per adempiere (non inferiore a quindici giorni), spirato il quale il contratto si considera automaticamente risolto, senza passare dal tribunale.
Si precisa che la circolare interna indirizzata agli uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrate e commentata nel presente articolo non ha alcun valore legale vincolante. Essa costituisce un atto interno organizzativo, ragion per cui deve comunque ritenersi legittimo l’operato dell’ufficio fiscale che, in applicazione della circolare del 2014 [2], tassi anche i canoni di locazione non effettivamente percepiti.