Mi sembra che il legislatore non favorisca la semplicità interpretativa :
Centro Studi Giuridici UPPI a causa degli avv.ti Ladislao Kowalski e Maria Luigia Aiani.
Nei giorni scorsi si è data la notizia della modifica dell’art. 32 della L. 392/78 (equo canone) relativa all’aggiornamento del canone nei contratti di locazione ad uso diverso. Il relativo articolo “Cambia la disciplina dell’aggiornamento ISTAT nei confronti delle locazioni ad uso diverso” può essere letto sul presente sito.
In quelle brevi note si interpretava la novella legislativa (art. 41 comma 16 duodecies) del c.d. decreto milleproroghe (Dl 207/2008) in senso ampiamente liberale ritenendo che, verificandosi il presupposto della maggior durata contrattuale, il criterio di “aggiornamento” potesse rientrare nella libera disponibilità delle parti con l’unico limite, da valutare volta per volta dal giudice del giudizio, del divieto di aumenti tout court dei canoni di locazione.
In un primo commento, appena dato alla stampa, tale orientamento, viene “screditato”.
Sostiene, infatti, Nunzio Izzo, nell’art. a sua firma “Anche per le locazioni commerciali diviene legittimo l’aggiornamento integrale del canone, restando, tuttavia, illeciti i patti di aumento”, pubblicato su DIRITTOeGIUSTIZI@, quotidiano di informazione giuridica edito da Giuffrè e reperibile on-line sull’omonimo sito, che la novella legislativa, permetterebbe, esclusivamente, la possibilità di integrazione integrale e, quindi, del 100% dell’ISTAT escludendosi, al contrario, la “ .. suggestione di una piena libertà di pattuizione di clausole dirette a modificare la entità nominale del canone che integrerebbe un suo aumento in senso tecnico giuridico, il sapiente maquillage normativo resta circoscritto al solo aggiornamento del canone pattuito nella misura integrale del 100% della variazione ISTAT, senza alcuna legittimazione di eventuali patti di aumento del canone convenuto che restano, tuttora, nulli (art. 79). Aggiornamento ed aumento del canone integrano, infatti, fattispecie concettuali e giuridiche distinte e diverse che non sono sovrapponibili stante, non tanto e non solo, la rubrica della specifica disposizione di legge (“aggiornamento del canone”), quanto la persistente vigenza del primo comma della disposizione che delimita l’ambito applicativo dell’intera norma al solo “aggiornamento” del canone di locazione. Anche con il novum legislativo “le variazioni in aumento del canone, restano, pertanto, circoscritte entro il limite inderogabile dell’aggiornamento del canone, senza trasmodare in un libero ed indiscriminato aumento dello stesso che scardinerebbe il complessivo sistema normativo predisposto a tutela delle attività privilegiate che non sono solo private (art. 27), ma anche pubbliche e sociali (art. 42).”.
L’argomentazione in ordine alla distinzione tra aggiornamento e aumento è sicuramente condivisibile tanto che, la stessa, veniva, seppur sinteticamente, sottolineata nel citato precedente articolo a firma del Centro Studi Giuridici Uppi.
Meno condivisibile, al contrario, pare, a sommesso avviso di chi scrive, l’ulteriore argomentazione, proposta dall’autorevole scrittore, secondo il quale: “il tentativo di una lettura “estensiva” della deroga è ricorrente in occasione delle deroghe legislative alla legge 392/78 ed è stato sperimentato, infruttuosamente, in occasione dell’analoga novella legislativa dei cd Patti in Deroga di cui all’art. 11 del DL 11luglio 1992 n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992 n. 359 (cfr. Cass. 3 agosto 2004, n. 14813; 2 dicembre 1998 n. 12236; 11 settembre 1997 n. 8959).”.
Detta considerazione, come sopra rilevato, non pare essere convincente in quanto porta, all’attenzione dell’interprete, non tanto il disposto normativo e la ratio legis, quanto la relativa conseguenza che, da sola, non è sufficiente a sostenere un’interpretazione autonoma e distinta dal risultato letterale della norma in esame. Insomma, a dirla secondo l’antico brocardo: “ .... adducere inconveniens non est solvere argumentum. ....”.
In relazione alla questione che qui ci occupa va, al contrario, considerato che, il c.d. ISTAT, è, sicuramente, un criterio di riferimento frequentissimo nell’orizzonte giuridico anche diverso dalla materia che qui ci occupa ma rimane, pur sempre, un criterio che non è espressamente previsto come unico ed esclusivo per il mantenimento del valore della valuta ridotto dalla perdita del potere di acquisto della medesima.
Tale considerazione trova, tra l’altro, una sua precisa soluzione, già fatta propria dalla più qualificata dottrina, in tema di locazioni abitative ex lege 431/98.
Detta norma, che dal 30/12/98 disciplina le locazioni abitative avendo ampiamente sostituito la legge 392/78, infatti, nel ridisegnare la c.d. “autonomia ingessata della locazione” ha proposto un modello del tutto simile a quello previsto dall’uso diverso: durata fissa con obbligo di rinnovo (4+4 quantomeno per il primo binario), libera determinazione dell’originario canone di locazione, immutabilità del medesimo nel corso del rapporto.
Tace, al contrario, la nuova legge, in ordine all’ aggiornamento e ciò nel senso che, abrogato espressamente l’art. 24 della legge 392/78 (che prevedeva l’aggiornamento ISTAT dei canoni annualmente, nella misura del 75%), nulla ha previsto a tale fine.
Stante questa situazione, pertanto, la più accreditata dottrina, di cui si è già detto, ha espresso i seguenti principi: “In sostanza, e riassumendo, le clausole di aggiornamento sono ammissibili, nei limiti dell’art. 32 della legge n. 392/1978, in relazione ai contratti ad uso non abitativo; sono ammissibili senza limiti nei contratti ad uso abitativo del canale libero (art. 2, primo comma, L. 431/1998); sono ammissibili nei limiti indicati dall’accordo territoriale raggiunto in sede di autonomia collettiva nei contratti ad uso abitativo previsti dal terzo comma dell’art. 2 di durata ordinaria, mentre sono in ogni caso inammissibili per i contratti transitori”. (Gabrielli e Padovini, La locazione di immobili urbani, seconda edizione, 2005, Cedam, pag. 363).
Ancora: “... Vengono in questione, in primo luogo, le clausole di aggiornamento del canone alla variazione del costo della vita. E’ facile osservare a proposito che il citato art. 14, comma 4, ha abrogato anche l’art. 24 della legge 392/1978, di guisa che è oggi necessario pattuire espressamente l’aggiornamento, che, altrimenti, il locatore non potrà pretendere (Scalettaris, La nuova disciplina delle locazioni abitative, in Arch. Loc. 1999, 748). ... In tale libertà delle parti, potrà essere convenzionalmente prescelto un diverso indice, ovvero utilizzato un ulteriore parametro di computo dell’aggiornamento. Potranno ancora le parti convenire che l’aggiornamento sia dovuto automaticamente, senza la necessità di una specifica preventiva richiesta (CARRATO, op. cit., 32).” (Lazzaro e Di Marzio, Le locazioni per uso abitativo, quarta edizione, Giuffrè, anno 2007, pag. 951).
Alla luce, pertanto, di tali autorevoli considerazioni in materia che, per quanto riguarda la disciplina giuridica, deve considerarsi del tutto analoga a quella che qui ci occupa, parrebbe ammissibile sostenere la sostanziale “liberalizzazione” del criterio e della percentuale dell’aggiornamento.
Nè, valga, a contrario, sostenere che, nel mentre la disciplina della locazione abitativa è orfana di una specifica norma sull’aggiornamento, la disciplina normativa per le locazioni ad uso diverso, ha, al contrario, una specifica disposizione, l’art. 32, che è quello che, propriamente, qui ci occupa.
Detto testo normativo, infatti, come risultante dalla modifica appena introdotta, stabilisce limite e criterio: il 75% dell’ISTAT. Non è dato di capire, secondo una corretta logica ed una corretta interpretazione anche letterale del testo normativo, perchè, al di fuori di tale ipotesi, evidentemente oggi “speciale”, si debba ritenere che la norma abbia “imposto” il criterio dell’ISTAT quale unico ed esclusivo riferimento ai fini che qui interessano.
Insomma, a tutto concedere, la discussione è aperta e, come al solito, ne trarremo le conclusioni tra qualche anno.
In sintesi:
* Nunzio Izzo fornisce della norma in esame una interpretazione rigorosa e restrittiva, che aggancia sostanzialmente al tenore letterale e alla rubrica (“aggiornamento del canone”) dell’art. 32 L. 392/78 come novellato e ai lavori parlamentari, dai quali ricava la ratio normativa nel senso indicato. L’Autore rileva che l’intervento del legislatore è limitato al solo aggiornamento del canone ( cioè al meccanismo di adeguamento dello stesso al mutato potere d’acquisto della moneta), mentre restano assoggettate alla sanzione della nullità (ex art. 79 L. 392/78) le pattuizioni che comportano un aumento del canone;precisando che una piena libertà di pattuizione di clausole idonee a modificare l’entità nominale del canone integrerebbe un aumento (non consentito) e non un aggiornamento (legittimo) del canone. Ritenuto l’intervento legislativo è circoscritto al solo aggiornamento del canone, Izzo rileva quale unico indice a tal fine applicabile l’ISTAT (l’indice costo-vita), misuratore che la legge sceglie di regola come parametro di valutazione nella materia locatizia.
Per l’ Autore l’interpretazione fornita trova supporto nella precedente novella dell’art. 32 L. 392/78 (L. 118/85) che era intervenuta solo sull’aspetto temporale dell’aggiornamento (da biennale ad annuale), confermato, per il resto, l’intero impianto della norma. Dunque, ora la norma va letta come segue:
a) locazioni ex art. 27 L. 392/78 con durata minima = aggiornamento del canone con indice ISTAT ridotto al 75%
b) locazioni ex art. 27 L. 392/78 con durata superiore alla minima= aggiornamento del canone con indice ISTAT al 100%
* Il CSG ha dato invece della norma in questione una lettura più estensiva, in via di interpretazione analogica con la disciplina – liberalizzata – delle locazioni abitative del c.d. “canale libero” (4+4) ex L. 431/98. Per il CSG, il fatto che la norma non individui espressamente lo specifico parametro di riferimento (l’Istat, nel caso di specie), significa che tale individuazione è lasciata alla libera determinazione delle parti contraenti, le quali sono legittimate ad individuare l’indice (non necessariamente l’Istat) e la misura dello stesso applicabile per l’aggiornamento del canone; fermo restando il divieto di aumento del canone, che – tutti gli Autori su questo sono d’ accordo – sarebbe comunque nullo giusto il disposto dell’art. 79 L. 392/78.
Centro Studi Giuridici U.P.P.I.
Avv. Ladislao Kowalski e Avv. Maria Luigia Aiani
La prima doccia fredda sulla liberalizzazione dell