L'abitabilità deriva dal testo unico del 1924; è la licenza edilizia -cioè la presentazione del progetto- che ev. non c'è in edifici costruiti ante '67
Ciò non è corretto:
La comparsa nel nostro ordinamento di un controllo di natura pubblicistica sui requisiti di salubrità degli edifici a destinazione residenziale risale all'art. 39 della L. 22 dicembre 1888 n. 5849, in seguito trasfuso nell'art. 69 del r.d. 01 agosto 1907 n. 636, il quale statuì che “le case di nuova costruzione, od in parte rifatte, non possono essere abitate se non dopo l'autorizzazione del sindaco”, determinando altresì le modalità di rilascio del provvedimento.
L'art. 221 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie (r.d. n. 1265/1934) operò una mutazione terminologica non incidente sulla natura autorizzatoria dell'atto (“autorizzazione del podestà”), prevedendo quali condizioni del rilascio la conformità della costruzione al progetto approvato, il prosciugamento dei muri, l'assenza di altre cause di insalubrità.
Il secondo comma della norma in parola, nell'ottica di una generale estensione dell'intervento della legislazione penale, prevedeva la sanzione penale dell'ammenda da lire duecento a lire duemila per il contravventore agli obblighi di cui al comma primo.
Il D.P.R. n. 425/1994 è intervenuto riscrivendo, con l'art. 4, la norma, e diversamente conformando la natura giuridica dell'atto (da autorizzazione amministrativa a certificato) ed il procedimento di rilascio, ed espressamente abrogando, con l'art. 5, le previsioni dell'art. 221 comma primo del t.u.l.s. 1.
Il D.lgs. n. 507/1999 ha depenalizzato la sanzione prevista dell'art. 221 secondo comma del t.u.l.s., prevedendo la sanzione amministrativa pecuniaria da lire centocinquantamila a lire novecentomila.
Infine, l'art. 136 comma secondo del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), a decorrere dal 30.06.2003, ha espressamente abrogato sia il regolamento recato dal D.P.R. n. 425/1994 che le residue previsioni dell'art. 221 del testo unico citato.
Ad oggi la disciplina del certificato di abitabilità, rectius “agibilità”, e del relativo procedimento amministrativo di rilascio, è portata dagli artt. 24 e 25 del Testo Unico Edilizia.
Operata questa breve premessa in punto di fonti, occorre illustrare in sintesi i lineamenti delle attuali previsioni normative, soffermandosi poi sui profili civilistici dell'abitabilità, ovvero sui riflessi del mancato rilascio del certificato nel perfezionamento e nella esecuzione dei contratti di compravendita immobiliare.
2. Il certificato di” agibilità” ex art. 24 D.P.R. n. 380/2001
L'abrogazione delle precedenti fonti ha determinato, da parte dell'art. 24 citato, la riconduzione ad unità della diversa terminologia (abitabilità – agibilità) in precedenza utilizzata, rispettivamente, con riferimento ad immobili ad uso abitativo e non abitativo.
La norma parla pertanto di “certificato di agibilità”, anche se nel gergo tecnico diffuso è invalsa la vecchia dizione.
Il nuovo concetto di agibilità concerne l'igiene e la salubrità, ma anche il risparmio energetico e la sicurezza statica e dinamica di impianti ed edifici.
L'agibilità, rilasciata dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, deve essere richiesta con riferimento ai seguenti interventi:
• Nuove costruzioni;
• Ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;
• Interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici stessi e degli impianti.
Per siffatti interventi, il soggetto titolare del permesso di costruire, il soggetto che ha presentato la denuncia di inizio attività, o i loro successori o aventi causa sono tenuti a presentare domanda di rilascio del certificato entro quindici giorni “dall'ultimazione dei lavori di finitura”.
La domanda deve essere corredata dalla richiesta di accatastamento, che lo sportello unico provvede ad inoltrare al catasto, dalla dichiarazione di conformità dell'edificio al progetto approvato, nonché in ordine alla prosciugatura dei muri ed alla salubrità dei locali, dalle certificazioni e/o collaudi attinenti gli impianti installati.
La mancata presentazione della domanda comporta la sanzione pecuniaria di carattere amministrativo da € 77,47 ed € 464,81.
Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale è tenuto a verificare la completezza e regolarità della documentazione prescritta, nonché la sussistenza del certificato di collaudo delle opere di cui all'art. 53 del T.U.E., del certificato dell'ufficio tecnico regionale per gli edifici costruiti in zone sismiche, della dichiarazione di conformità alla normativa in tema di superamento delle barriere architettoniche.
L'ufficio comunale ha termine di trenta giorni a far data dalla ricezione della domanda, per il rilascio del certificato, previa eventuale ispezione dell'immobile.
Il termine può essere interrotto per una sola volta, entro quindici giorni dalla ricezione della domanda, soltanto ai fini della richiesta di documentazione integrativa che non sia già nella disponibilità dell'amministrazione procedente o che non possa essere acquisita autonomamente: verificandosi questa ipotesi il termine ricomincia a decorrere per ulteriori trenta giorni a partire dal deposito della documentazione integrativa.
Qualora sulla domanda non vi sia pronuncia da parte della Pubblica Amministrazione entro trenta giorni, si forma il silenzio assenso, a condizione che sia intervenuto il parere dell'Azienda Sanitaria Locale circa la conformità delle opere alle prescrizioni igienico-sanitarie, e, ovviamente, a condizione che la documentazione depositata dal richiedente sia completa e regolare.
Il rilascio del certificato da parte dell'Amministrazione Comunale non incide sul potere degli organi competenti di successiva eventuale repressione di abusi edilizi accertati 2.
Di converso, l'accertata illegittimità del permesso di costruire determina in via derivata l'invalidità dell'agibilità riferita allo stesso immobile 3.
L'art. 26 del T.U.E. chiarisce poi che il rilascio del certificato di agibilità non impedisce l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o parte di esso ai sensi dell'art. 222 del regio decreto 27 luglio 1934 n. 1265.
3. Compravendita immobiliare e mancanza del certificato
Giungendo al tema centrale di questo contributo, ovvero i riflessi che il mancato rilascio dell'agibilità determina nei rapporti negoziali tra le parti del contratto di compravendita, occorre subito evidenziare che l'obbligazione di consegna all'acquirente del documento in parola, da parte del venditore, trova un sicuro fondamento normativo nelle previsioni di cui all'art. 1477 comma terzo c.c., secondo cui oltre alla res empta , “Il venditore deve pure consegnare i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all'uso della cosa venduta” .
La giurisprudenza di legittimità come di merito ha conferito tradizionalmente al certificato di abitabilità una centrale importanza nelle relazioni di scambio, inquadrandolo tra i documenti relativi alla proprietà e costituente requisito indispensabile ai fini della realizzazione della funzione economico-sociale dell'oggetto del contratto di compravendita 4.
Analizzando le numerose pronunce susseguitesi negli anni, possono individuarsi molteplici punti critici cui gli interpreti hanno tentato di fornire risposta, ed in particolare: se la mancanza del certificato determini un vizio genetico del negozio; se la comune volontà di compravendere in assenza del documento configuri comunque inadempimento opponibile; se ed in che misura la mancanza formale del documento e l'impossibilità sostanziale di ottenerlo determinino effetti tra loro diversi nell'economia del negozio; se l'inadempimento da parte del venditore sia sanzionabile con l'eccezione ex art. 1460 c.c., con la risoluzione contrattuale ex art. 1453-1497 c.c., con il risarcimento del danno, con l'esecuzione dell'obbligazione in forma specifica; come siano giuridicamente configurabili i rapporti tra parti contraenti ed Amministrazione emittente; quali siano, infine, le peculiarità della patologia accennata con riferimento alla stipula del preliminare di compravendita.
Ripercorrendo partitamente gli argomenti, deve in primo luogo escludersi che il contratto di compravendita concluso in assenza cella certificazione prescritta sia affetto da invalidità sub specie di nullità, ovvero vizio genetico.
Sotto il profilo della liceità e possibilità dell'oggetto del negozio, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha conferito costante rilievo alla circostanza che il godimento concreto della cosa, di fatto, possa regolarmente instaurarsi, sia pure con le difficoltà ed i disagi del caso 5.
Soltanto nella misura in cui alla mancanza dell'abitabilità si accompagni in concreto un impedimento assoluto del godimento il contratto potrebbe qualificarsi nullo per impossibilità dell'oggetto, non potendosi escludersi che l'immobile privo di certificazione possa essere di fatto comunque oggetto della valida costituzione di un rapporto giuridico.
La carenza dell'abitabilità, pertanto, incide nel rapporto sotto forma di vizio funzionale della causa.
Da ciò discende pianamente che la comune volontà delle parti di compravendere in assenza del documento 6 sia pienamente valida ed ammissibile e non possa darsi inadempimento opponibile ex art. 1460 c.c., salva l'esistenza di un “impedimento assoluto”, che, come sopra accennato, sposterebbe i termini della fattispecie.
E' evidente che la volontà delle parti dovrà comunque essere nel caso concreto di volta in volta attentamente valutata.
Ed infatti, la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che “la sola conoscenza da parte del compratore del mancato rilascio della licenza di abitabilità al momento della stipulazione di un contratto di compravendita di un immobile destinato ad abitazione, non accompagnato da una rinuncia da parte dello stesso al requisito, soddisfatto solo dal rilascio della relativa licenza o dalla di lui volontà di esonerare comunque il venditore dal relativo obbligo, non vale ad escludere l'inadempimento del venditore…” . 7
4. La tutela dell'acquirente
La mancata consegna della certificazione di cui trattasi configura inadempimento contrattuale che può dare luogo alla risoluzione del negozio o porsi, più spesso e più limitatamente, come fonte di obbligazione risarcitoria per il fatto stesso di essere stato oggetto di consegna un immobile privo dei titoli previsti dalla legge. 8
L'inadempimento in parola potrà sempre essere fatto valere quale exceptio non (rite) adimpleti contractus ai sensi dell'art. 1460 c.c. 9 e presupposto per un'azione risarcitoria il cui quantum dovrà essere commisurato ai costi necessari all'ottenimento dell'abitabilità; talvolta, ed in particolare quando la carenza documentale sia spia di una situazione di fatto che non consenta ex se il rilascio dell'atto amministrativo, potrà essere sanzionato con lo svolgimento in giudizio dell'azione di risoluzione per mancanza di qualità, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1453 e 1497 c.c., sempre salvo ed impregiudicato il risarcimento del danno 10.
E' luogo richiamare l'attenzione sul fatto che la risoluzione per mancanza di qualità presuppone il rispetto dei termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c. ed espressamente richiamati dall'art. 1497 comma secondo c.c..
Come è noto, una giurisprudenza minoritaria ed a nostro parere non condivisibile ha tentato di superare il disposto normativo riferendosi alla categoria dell' aliud pro alio .
La fattispecie richiamata si realizza laddove il bene oggetto di consegna, per le carenze essenziali evidenziate, sia da considerarsi appartenere a tutt'altro genere rispetto a quello contemplato dalle parti al momento della sottoscrizione del negozio, e dunque non idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale sua propria.
Nel caso di genus difforme, l'azione di risoluzione è soggetta alle sole regole ordinarie, rimanendo svincolata dai termini di decadenza e prescrizione.
Ora, l'assunto che il bene privo di abitabilità sia completamente diverso da quello promesso 11(caso che si verifica, lo si ricorda, solamente nei casi residuali nei quali non sussistano affatto le condizioni concrete per il rilascio), non giustifica l'inquadramento dell'evento nel paradigma indicato.
Non sembra potersi parlare a ragione di diverso genus , quanto invece, e comunque, di una mancanza di qualità la cui rilevanza è prevista e disciplinata dall'art. 1497 c.c..
Il dato positivo ci consegna una norma speciale contenente un regolamento esaustivo e non suscettibile di essere disapplicato, costituendo, con il richiamo al disposto di cui all'art. 1495 c.c., una valido meccanismo equilibratore degli interessi delle parti: garanzia di tutela dell'acquirente, da un lato, e garanzia di difesa del venditore, dall'altro.
E'opportuno a questo punto dell'indagine inquadrare i rapporti giuridici intercorrenti tra alienante, acquirente e pubblica amministrazione laddove, in sede di stipula, la parte venditrice, d'accordo con controparte, rimanga convenzionalmente obbligata a procurare la certificazione al momento non ancora rilasciata.
L'obbligo, assunto dall'alienante in tale fattispecie, di procurare il certificato di abitabilità, non è suscettibile di esecuzione in forma specifica, avendo ad oggetto il fatto di un terzo (amministrazione comunale), da ricondursi alle previsioni di cui all'art. 1381 c.c..
Nell'obbligazione del fatto del terzo il debitore o promittente si impegna verso il creditore o promissario a che il terzo tenga o non tenga un dato comportamento, stipuli o non stipuli un contratto.
Qualora il terzo rifiuti di obbligarsi o non compia il fatto promesso, il debitore è tenuto ad indennizzare l'altro contraente: il terzo rimane estraneo alla promessa, mentre la norma rivolge la sua attenzione alla condotta del promittente il quale deve adempiere all'impegno di procurare il fatto promesso; quando il fatto (positivo o negativo a seconda dei casi) non si compia, il promissario ha diritto di agire per l'ottenimento di un indennizzo, ma non per l'adempimento in forma specifica, né per il risarcimento del danno 12.
Nell'ipotesi oggetto di esame in questa sede, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire a più riprese che l'obbligo di far ottenere il certificato è incoercibile in applicazione dell'art. 1381 c.c., per cui il venditore potrà essere se del caso condannato a indennizzare l'acquirente, ma non all'adempimento dell'impegno assunto. 13
Nella struttura della norma, invero, compaiono due distinte obbligazioni a carico del promittente: un obbligo di facere (adoperarsi con diligenza e buona fede al fine di creare il sostrato per il compimento del fatto promesso) ed un obbligo di dare concernente l'esborso dell'indennizzo, per il caso in cui all'impegno profuso non segua quanto promesso.
E' evidente che laddove il fatto promesso non si compia per causa imputabile al promittente, il promissario potrà disporre dei normali mezzi a sanzione dell'inadempimento, ivi compresa l'azione di risarcimento del danno tecnicamente inteso 14.