a conforto di quanto anticipato dallo scrivente:
Vale il canone registrato o quello concordato privatamente dalle parti? Il rebus passa alle Sezioni Unite.
09/01/2014
Avv. Giuseppe Donato Nuzzo
(Cassazione Civile, Sezione Terza, ordinanza n. 37 del 3 gennaio 2014)
Capita spesso che il contratto di locazione, regolarmente registrato, sia “accompagnato” da un accordo privato con cui le parti fissano un canone diverso (solitamente più alto) di quello stabilito nel contratto dichiarato al Fisco.
È valido un accordo siffatto? No, almeno secondo l’ordinanza n. 37 del 3 gennaio 2014, resa dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione.
La scrittura privata per fissare un canone diverso da quello risultante nel contratto di locazione registrato configura un comportamento elusivo della pretesa fiscale, che rientra a pieno titolo nell'abuso del diritto. L’accordo in parola non può considerarsi «ammissibile e lecito» e neppure può essere sanato con una tardiva registrazione. L’imposta di registro va pagata in rapporto al contratto fiscalmente valido e il proprietario non può pretendere un affitto superiore a quanto è previsto nel contratto di locazione già registrato presso l’Agenzia delle Entrate.
Non tutti, però, concordano con questa impostazione e sul tema si registrano non pochi contrasti in giurisprudenza. La stessa Cassazione, nel 2003, ha dichiarato la validità dell’accordo. Per questo motivo, l’ordinanza in commento rimette la questione alle Sezioni Unite, “al fine di evitarsi, in una materia connotata da una diffusissima contrattazione e caratterizzata da un'accentuata litigiosità, un contrasto potenzialmente foriero di disorientanti oscillazioni interpretative che potrebbero conseguirne». La Sezioni Unite, dunque, sono chiamate a fornire una soluzione univoca ad un problema complesso e molto frequente nelle aule di giustizia.
Il fatto. L’ordinanza di rimessione in commento nasce da una causa di sfratto per morosità. Le parti avevano stipulato un contratto di locazione, regolarmente registrato, per un canone pari a 378,35 euro mese, e un accordo integrativo, non registrato, che aumentava il canone a 1.700 euro.
Per i primi mesi l’inquilino pagava il canone risultante dall’accordo integrativo, poi decideva di corrispondere il canone stabilito nel contratto registrato. Da qui la decisione del proprietario di citarlo in giudizio, per la risoluzione del contratto per morosità.
Nei due gradi del giudizio di merito, la domanda di sfratto veniva respinta. Veniva accertato come reale il solo canone di affitto previsto nel contratto fiscalmente registrato e nullo quello dell’accordo integrativo.
L’orientamento favorevole alla validità dell’accordo non registrato. Il proprietario dell’immobile ricorre in cassazione, sostenendo che i giudici di merito avrebbero dovuto attenersi al principio giurisprudenziale, affermato dalla stessa Cassazione con sentenza n. 16089 del 2003, che considera valida e vincolante la scrittura privata «non rilevando, nei rapporti tra le parti, la totale omissione dell'adempimento fiscale».
Secondo tale impostazione, la mancata registrazione del contratto di locazione non determina nullità, in quanto, nonostante l’indubbio risalto dato dalla legge n. 431 del 1998 al profilo fiscale relativo alla registrazione del contratto di locazione, la stessa non è stata tuttavia elevata a requisito di validità del contratto, atteso che l’art. 1, comma 4, L. n. 431 del 1998 richiede quale requisito di validità del contratto di locazione solo la forma scritta, e non anche la registrazione, sicché un contratto di locazione concluso in forma scritta, ma non registrato, è valido e vincolante per le parti, e può essere fatto valere in giudizio.
In sostanza, il proprietario sostiene che la mancata registrazione non inciderebbe sull’efficacia del contratto di locazione, anche perché il caso specifico era precedente alla legge 311/2004, che elevò, almeno in via interpretativa, la mancata registrazione a causa di nullità del contratto
La soluzione proposta dall’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite. La soluzione proposta dalla Terza Sezione della Cassazione va nella direzione opposta. A parere del Relatore, è proprio la precedente posizione del 2003 a dover essere superata, alla luce dei mutamenti intervenuti nel frattempo, sia a livello normativo (con la Legge 311/2004), sia a livello giurisprudenziale, con particolare riferimento alle famose sentenze pronunciate in tema di abuso del diritto (Cass. civ. n. 2016/2009 e n. 17642/2012) e, infine, anche avuto riguardo alla teoria della causa “concreta” del contratto
L’operazione in esame configurerebbe proprio un abuso di diritto. L’unico scopo del proprietario/contribuente (la causa in concreto dell’accordo privato) è stato quello di ottenere un risparmio fiscale eludendo la legge. Ragion per cui l’accordo "integrativo" del contratto di locazione registrato configura un accordo a causa illecita, cioè nullo ex art. 1418 c.c.
La scrittura privata che “nasconde” il canone reale è nulla. Il relatore sottolinea altresì che la nullità dell’accordo non può essere sanata da una eventuale registrazione tardiva, perché in ogni caso la pretesa del Fisco dovrà tener conto di quanto dichiarato dalle parti nel contratto registrato all'origine. Ne consegue che “al locatore non è comunque consentito percepire legittimamente un canone maggiore di quello originariamente assoggettato ad imposta”. L’ammontare del canone può essere modificato nel corso della durata del contratto, ma solo mediante “un nuovo accordo novativo di quello scritto e registrato”, a sua volta assoggettato a corretta imposizione fiscale, rispondente alla volontà delle parti.
Non rimane che attendere il verdetto delle Sezioni Unite.